


Consulenza evoluta o vendita di prodotti finanziari?
Alcuni giorni fa, al termine di un’aula di formazione presso una primaria banca di investimenti, un consulente finanziario (che chiamerò fantasiosamente Alberto) ha voluto esprimere un proprio punto di vista più o meno in questo modo:
“Vorrei dire che sono sinceramente soddisfatto di queste ore passate insieme a parlare di consulenza evoluta e di come tutti noi dovremmo elevarci a consulenti capaci di rispondere a bisogni più ampi che non quelli esclusivamente legati al rendimento finanziario; tuttavia, non credo di essere all’altezza di ciò che ho sentito. Io faccio questo mestiere da 35 anni e, da altrettanti, mi ritengo semplicemente un venditore di prodotti finanziari. Mangio da sempre in questo modo e ai miei clienti dico questo: io vendo prodotti finanziari e quello che posso fare è darti quelli che credo che renderanno di più. Sulle slides ho visto piramidi (degli investimenti, n.d.r.) e altro. Beh, faccio gli auguri a tutti quelli che pensano davvero di poter vivere di consulenza in un Paese come questo e con i clienti che ci ritroviamo.”
È probabile che ad innescare Alberto possano essere state alcune riflessioni circa l’importanza di allargare, rispetto al passato, le proprie conoscenze e affinare la preparazione per rispondere esaustivamente alle esigenze di questo mercato.
C’è chi vende e …
È mia opinione che il consulente di oggi abbia poco o niente in comune con quello degli inizi degli anni ottanta. Non fosse altro per tutto ciò che – da allora ad oggi – è accaduto in ambito finanziario. Ci sono diverse ragioni alla base di questo mio convincimento e le ho sintetizzate in quella sede, a margine di una serie di argomentazioni che sancivano l’importanza crescente della figura del consulente finanziario nel panorama del risparmio e dei risparmiatori.
“… io vendo prodotti finanziari e quello che posso fare è darti quelli che credo che renderanno di più.”
Che chiunque venda qualcosa, ogni giorno e più volte al giorno, è assodato almeno quanto il fatto che il sale sia salato. Ciò che suona preoccupante è quel finale che, alle orecchie di un cliente ordinario, potrebbe pericolosamente echeggiare come la più dolce delle melodie e rappresentare ben più di una valutazione, quanto piuttosto una promessa di rendimento certo e sostanzioso.
So bene cosa intendesse dire Alberto con quelle parole e so bene che lo intuisca chiunque sia su questa giostra da un po’: nessuna aspirazione di vestire i panni di Mago Merlino, ma solo il tentativo (e la speranza) di individuare e indicare strumenti performanti in un arco temporale accettabile per il cliente.
Alberto sostiene che in Italia non ci siano “le premesse per fare davvero consulenza e riempirsi la bocca con questo termine non serve a far portare a casa il pane”. Si può più o meno dissentire, ma devo riconoscere che Alberto – sebbene con un pizzico di evidente ombrosità – abbia spiegato in modo educato e chiaro il suo punto di vista. Peraltro, a seguito del suo commento, molti dei partecipanti hanno condiviso il suo pensiero: “Siamo venditori, niente di più.” Forse discutibile, di certo inequivocabile!
Che piaccia o no, Alberto rappresenta una larga schiera di professionisti della finanza, che – con leggere varietà di stili – è rimasta ancorata a 40 anni fa, periodo in cui molti precursori della promozione finanziaria hanno pazientemente e sapientemente intrecciato i trefoli di un’attività che emetteva i primi vagiti e che per l’avanguardia della consulenza finanziaria, spesso, hanno significato impegno massiccio e scornate pesanti.
Per fortuna di quella schiera, la resilienza e la capacità di resistere hanno fatto il resto, recando in dote, a molti ‘promotori’, portafogli gestiti, frutto del turnover e della resa di chi non ha avuto la scorza o la forza di confrontarsi con un mestiere così meravigliosamente contraddittorio, capace di farti sentire a giorni alterni un fenomeno o un imbecille.
La consapevolezza del ruolo
Ci sono molti professionisti in Italia che la pensano come Alberto e che non hanno il coraggio di dirlo o di dirselo. Non si sentono adeguati ad incarnare il ruolo del consulente, poiché da sempre si definiscono come si vedono: solo e soltanto venditori. A fare da contraltare ci sono, invece, quelli che detestano qualsiasi designazione li riconduca al concetto di vendita (compreso il termine “promotore”), quasi come si trattasse di una connotazione squalificante.
Nell’industria finanziaria le vicissitudini normative degli ultimi anni (Mifid in primis) ha portato un po’ tutti a parlare di:
- nuove sfide per la consulenza
- sfide che creano opportunità
- un ambito che si prepara ad una sfida epocale
e, chi più ne ha, più ne metta, a condizione che ci infili la parola “sfida”; termine abusato ma concetto accattivante, se inteso come sinonimo di crescita e di sviluppo.
Tuttavia, ai più attenti non sta sfuggendo che, per molti professionisti, tali sfide stanno costituendo un ostacolo arduo e, talvolta, insormontabile, una parete troppo ostica da scalare. Risultato: per qualcuno che se lo può permettere, lo status quo (cioè, un management fee soddisfacente) sta rappresentando una comoda e poco rumorosa alternativa su cui adagiarsi. Almeno fino a che è concesso o fino all’eventuale “risveglio” di quel cliente assopito e da tempo assuefatto alla modalità “compra questo che rende di più”.
Consulenti, venditori di prodotti o venditori di consulenza?
Si potrebbe disquisire allo sfinimento dilettandosi a fornire definizioni creative, ma è legittimo che ognuno abbia (e voglia conservare) la propria angolazione di veduta.
È auspicabile che, anche coloro che ancora non si reputano in grado di essere protagonisti attivi in questo nuovo scenario, non siano così miopi da contrastare il cambiamento, solo perché non sono ancora in grado di interpretarlo in maniera adeguata.
Consulenti o venditori, la diatriba è solo fittizia e le etichette contano poco o, meglio, non servono a niente! Ciò che davvero fa la differenza era ed è la:
- profondità di relazione col cliente
- sostanza su cui poggia quel rapporto
- tipologia di leadership che si riesce ad esercitare.
Oggi più di ieri, il punto non è “fare consulenza o vendere prodotti”, bensì:
- aiutare il cliente a comprendere le nozioni di base della pianificazione;
- diventare un punto di riferimento per lui e per il suo patrimonio.
Se ci riesci, o ti stai applicando per riuscirci, stai facendo il tuo lavoro in modo egregio, a prescindere dalle definizioni e dalle sfumature. In caso contrario, stai seriamente correndo il rischio di essere scalzato da quella ‘casella’ che, nella mente del tuo cliente, comincia ad assumere una più chiara definizione rispetto al passato. La stessa deve essere occupata da un professionista capace di rappresentare un opinion leader, allorché si parli di patrimonio.
Studiare, crescere ed evolvere professionalmente: sono verbi esaltanti per chi ha in sé la determinazione, la lungimiranza e lo spirito per accettare i rinnovamenti richiesti anche nel mondo della consulenza finanziaria.
La sfida del futuro
Consulenti o venditori poco importa! C’è bisogno di tutti per dare un giro di vite e accrescere l’alfabetizzazione finanziario-assicurativa di clienti tra i più parsimoniosi, ma anche tra i meno preparati d’Europa.
Questa è la vera sfida! Una di quelle in cui:
- i professionisti interessati possono far emergere le proprie qualità e sovvertire i pronostici;
- la fiducia dei clienti va ripagata con passione e impegno costanti per arricchirne le conoscenze;
- il compito più avvincente è motivare sé stessi, cercando ogni giorno la spinta per vincere ogni forma di inerzia e migliorarsi.
E, a dispetto dell’età, delle etichette e degli ostacoli, trovare una ragione in più per dirsi che, dopotutto, ne vale pena!


