


Siamo certi che i clienti sappiano davvero cosa significhi?
Parlare di pianificazione finanziaria appare una scontatezza in determinati contesti e gli addetti ai lavori ritengono che il significato di questo concetto risulti assolutamente chiaro per ogni cliente alle prese con la gestione dei propri risparmi, sia che intenda avvalersi del supporto di un professionista, sia che reputi più opportuno fare in autonomia.
D’altra parte, si tratta di un combinato (sostantivo + aggettivo) entrato da tempo nella gergalità di chi si appresta a valutare cosa fare coi propri soldi o di chiunque lo abbia già fatto. In banca, in un’agenzia di assicurazioni, in uno studio professionale o presso una rete di consulenti finanziari è consueto sentir dire che ci si occupa di pianificazione finanziaria.
L’evoluzione dell’industria del risparmio ha permeato di questo binomio i pori dei vari professionisti interessati, che a loro volta ne cercano di spiegare il significato ai propri clienti e ne suggeriscono l’utilità. Essi sottolineano giustamente l’importanza di seguire il piano degli investimenti concordato, condizione necessaria per perseguire i propri obiettivi di vita.
Cosa c’è che non va in tutto questo? Niente. Almeno in apparenza. La vera insidia è che per molti clienti, e purtroppo anche per molti consulenti, pianificazione finanziaria e piano degli investimenti rappresentano concetti sovrapponibili; in altre parole, pianificazione e piano vengono usati come sinonimi. Non lo sono. Semmai, una ricomprende l’altro, ma non sono affatto la stessa cosa. Prima lo si capisce e meglio si agisce.
Errori di concetto che generano errori di comportamento
Ogni risparmiatore o investitore dovrebbe avere chiaro che fare una pianificazione finanziaria non significa chiedere al proprio consulente, referente bancario o assicuratore quale BTP comprare, su quale azione speculare o quale polizza sottoscrivere. Anche la semplice revisione del portafoglio fatta dall’esperto guru di turno non è pianificazione finanziaria.
Uno dei tanti problemi connessi alla scarsa alfabetizzazione finanziaria e assicurativa è che le persone incappano in grossi errori di concetto che generano poi macroscopici errori di comportamento. Non mi riferisco tanto ai classici bias individuati e tipizzati dalla finanza comportamentale, quanto all’approccio paradossale di alcuni soggetti nei confronti dei gestori e della gestione dei propri denari.
Un esempio classico è il cliente pluribancarizzato (o pluriconsulenziato) che mostra grande ritrosia, e spesso un certo fastidio, nel rendere manifesto ai vari interlocutori professionali la consistenza complessiva del suo portafoglio e la sua allocazione. Quasi allo scopo di creare una sorta di competizione tra coloro che gestiscono i suoi soldi per vedere (a suo dire) chi gli dà risultati e disfarsi, invece, di chi non lo fa guadagnare abbastanza. Tutto rigorosamente nel breve termine.
Non svelare a chi gestisce una parte dei propri soldi cosa stiano facendo gli altri professionisti con le altre fette del proprio portafoglio finanziario produce solo danni. A sé stessi e al portafoglio. Questa forma di reticenza (seppur comprensibile da un punto di vista profondamente psicologico) è totalmente fuori luogo sotto il profilo pratico, perché non consente una strutturazione adeguata del proprio portafoglio finanziario, al di là che a gestirlo possano essere due, tre o più soggetti differenti.
La maledizione dei vecchi paradigmi
La maggior parte dei clienti aspira ad avere un piano di investimenti vincente, ma non è disposta a seguire un opportuno processo di pianificazione finanziaria. Non è raro che chi si rivolge a figure professionali che operano in questo settore cerchi indirettamente la ben nota sfera di cristallo. Certo, non dico che questo accada in modo razionale, ma succede. Basta ascoltare le domande poste e le affermazioni fatte ex ante:
▶ “Quanto mi rende?”
▶ ”Voglio guadagnare, ma senza rischiare”.
Rincorrere le mode del momento, inseguire l’imbeccata giusta, volere esclusivamente il reddito fisso o cercare di entrare e uscire dal mercato col timing perfetto: tutto questo non ha niente a che fare con la pianificazione finanziaria. Ovviamente, ognuna di queste cose è legittima, sebbene piuttosto discutibile e in certi casi persino sciocca, ma di certo non è pianificazione finanziaria.
La disabitudine atavica a ragionare per obiettivi porta molte persone a focalizzarsi quasi esclusivamente sulla ricerca di titoli che li facciano ricchi in tempi brevi (e di soggetti che glieli indichino). Generalmente, essi guardano con diffidenza a un approccio più ampio e temporalmente più esteso, che pur con possibili ritocchi in corso d’opera, possa condurre ai traguardi finali che ci si propone: una pensione adeguata, una migliore istruzione per i figli, l’acquisto di un immobile, ecc…
Primariamente, quindi, sarebbe opportuno comprendere la differenza tra pianificazione finanziaria e piano degli investimenti. Non si tratta di sfumature, ma della necessità di capire che pianificare il giro del mondo è una cosa, organizzare una delle tappe di quel giro è un’altra. La seconda fa parte del primo, ma le variabili di cui tener conto per la realizzazione dell’intero progetto sono ben più numerose e, spesso, hanno bisogno di essere gestite sul momento.
Il quadro e il dettaglio
La pianificazione finanziaria delinea il quadro generale per raggiungere i propri obiettivi finanziari e di vita.
Essa può comprendere:
- un piano assicurativo (quali rischi devo trasferire per evitare danni patrimoniali gravi o, addirittura, irreparabili?);
- un piano dei flussi di cassa (come si alternano entrate e uscite familiari e con quale esito? …eccedenza delle entrate o delle uscite?)
- un piano di ottimizzazione fiscale (come posso gestire l’aspetto delle imposte in relazione alle mie scelte?)
- un piano di istruzione per i figli (qual è la somma minima di cui disporre nel momento in cui i figli andranno all’università? …e in quale università? …e per un eventuale master successivo?)
- un piano patrimoniale (quali soluzioni e strumenti devo adottare per distribuire i miei beni? … anche in termini di eredità e indipendentemente dall’età)
- un piano pensionistico (quando andrò in pensione e con quanto voglio andarci?) … e, ovviamente,
- un piano degli investimenti (quali sono gli strumenti e il loro mix per avvicinarmi progressivamente alla realizzazione di ciò che ho progettato?)
Oltre che la stesura di questi piani, la pianificazione finanziaria contempla anche le modalità di attuazione, il monitoraggio e una revisione capace di suggerire azioni correttive se e quando si rendessero necessarie.
In ogni caso, è evidente che il piano degli investimenti rappresenti un motore, ma non l’intera struttura, al centro della quale ci sono le persone, i loro obiettivi e le loro aspirazioni.
Ci sono momenti in cui proiettarsi nel futuro lontano risulta davvero arduo. Gli eventi avversi (emergenze pandemiche) e le situazioni nefaste (guerre) che popolano il presente tendono a comprimere l’orizzonte temporale più di quanto solitamente non accada già. La pianificazione finanziaria guarda il presente, ma mira al futuro, ricercando quelle combinazioni che possano rendere quest’ultimo il meno ambiguo e incerto possibile.
Pianificare, agire, ribilanciare e agire ancora
È consigliabile considerare la pianificazione finanziaria come un’architettura statica, da rivedere solo in presenza di cambiamenti strutturali nella propria vita. I differenti piani che la abitano, invece, possono avere una dinamicità indotta da modifiche delle situazioni normative, legislative, lavorative, di mercato, ecc… Ad esempio, il piano degli investimenti potrà subire un ribilanciamento strategico o tattico in funzione di determinate contingenze che possono riguardare gli obiettivi o l’andamento delle asset class utilizzate.
Chi ci aiuta in tutto questo? Avere un consulente di cui fidarsi e a cui affidarsi non è un obbligo, ma una possibilità. Trovarlo con la certezza che non abbia conflitti di interessi è un’impresa. Ricercarlo con l’obiettivo di guadagnare in ogni situazione di mercato è una chimera. Spetta al singolo fare le debite valutazioni e capire se è in grado di realizzare la propria pianificazione finanziaria in modo completamente, o parzialmente, autonomo.
Il vero rischio è un altro: pensare di poter fare a meno di una pianificazione finanziaria, magari tirando in ballo i propri nonni e pensando che loro ce l’hanno fatta anche senza tutto questo. È verosimile, invece, che – a loro modo – i nonni abbiano messo in atto una sorta di pianificazione finanziaria con le conoscenze e gli strumenti di cui disponevano.
Paura, disagio e incertezza sono emozioni che bloccano e che possono recare danni alle proprie finanze, almeno quanto possono farlo l’avidità e la sprovvedutezza. È per questo che pianificare e agire di conseguenza non è più un’opzione, ma una necessità. Nell’ambito della pianificazione finanziaria, una buona approssimazione è meglio di un perfetto immobilismo.


