


Rosicare senza risicare: il malinteso continua!
L’andamento dei mercati è da sempre assimilato a quello delle montagne russe, con buona pace di quel manipolo di risparmiatori che si ostinano a cercare (e a richiedere) investimenti privi di rischio, ma che tuttavia garantiscano un rendimento certo e soddisfacente. Investimenti ed emozioni vanno a braccetto e l’idea che si possa “rosicare senza risicare” resta solida nella testa di tanti, che magari – pur di perseguirla – si affrettano ad accaparrarsi il BTP appena sfornato, con tanto di garanzia proveniente dall’autorevole testata giornalistica finanziaria: “Come guadagnare senza rischio”. Come dubitarne?!
È auspicabile, tuttavia, che chi abbia deciso di farsi assistere da un consulente finanziario riceva da quest’ultimo un supporto composito, che non disdegni di affrontare con lucidità anche la portata delle emozioni e dei loro effetti nella gestione dei propri investimenti; a maggior ragione, oggi, nel frangente più tribolato di sempre sui mercati finanziari. È ormai noto che, in quanto essere umani, siamo poco a nostro agio con i calcoli matematici e con tutto ciò che risuona fortemente connesso alle stime probabilistiche. Ci siamo evoluti grazie a ben altri aspetti e punti di forza che in quest’epoca, invece, sembrano giocarci contro.
Che voto dai al tuo consulente?
Il ruolo dei consulenti finanziari è multiforme, almeno quanto i tipi di ausilio che dovrebbero essere in grado di garantire, ma non tutti sono professionalmente attrezzati in materia. Per un consulente che ha compreso l’importanza di una preparazione robusta e di una serie di competenze quantomai trasversali, ce ne sono almeno quattro che ritengono esaurito il proprio compito dopo aver aggiornato il cliente circa il saldo di portafoglio ed essersi fatti ambasciatori di quelle cinque notizie racimolate qua e là per giustificare l’eventuale perdita e, infine, chiosare con il più classico: “Le cose per adesso vanno così: dobbiamo solo avere pazienza”. Se bastasse questo, sarebbe sufficiente l’omelia domenicale del parroco di turno.
Va detto che per un cliente non è certamente agevole giudicare in modo imparziale il proprio consulente, qualora ne abbia uno. In ogni caso, il giudizio sarà fortemente condizionato da diversi fattori e da ciò che il cliente ritiene di conoscere. Un elevato grado di fiducia, per esempio, è sufficiente a influenzare (e ad alterare) il modo in cui l’investitore valuta il valore della consulenza finanziaria ricevuta (Madamba e Utkus, 2017) e può portare a non notare le pratiche che favoriscono l’interesse personale del consulente a scapito del proprio (Mullainathan, 2008). Ne consegue che la fiducia, pur fondamentale nella relazione consulenziale che intercorre, non dovrebbe impedire agli attori interessati di interagire con schiettezza e con assoluta trasparenza.
Il valore della consulenza
Il valore di una buona consulenza è dato da almeno 3 componenti principali:
▶ 1) il valore del portafoglio
▶ 2) il valore finanziario
▶ 3) il valore emotivo.
In estrema sintesi, il primo fattore riguarda il portafoglio progettato per l’investitore. In questo caso, il valore deriva dalla costruzione di un portafoglio adeguatamente diversificato che sia in grado di generare il miglior ritorno corretto per il rischio al netto dell’impatto commissionale e opportunamente adattato alla tolleranza al rischio del cliente. La seconda dimensione (valore finanziario) misura la capacità di far conseguire un obiettivo desiderato, dal momento che il portafoglio dell’investitore dovrebbe essere al servizio di uno o più dei suoi obiettivi, come il finanziamento dell’istruzione dei figli, l’incremento del patrimonio e una pensione tranquilla, tanto per citare quelli più ricorrenti.
Il terzo parametro è quello di carattere emotivo dato dal senso di benessere finanziario o di tranquillità percepiti. Il valore della consulenza non può (e non deve) essere valutato solo attraverso misure quantitative. È plausibile che esso sia determinato anche da una connotazione qualitativa basata sulla relazione emotiva che si instaura tra cliente e consulente. Gli elementi sottostanti di tale valore includono giustappunto la fiducia dell’uno nell’altro, il senso di sicurezza che l’investitore ricava dal rapporto e la percezione di potersi affidare ai consigli del consulente soprattutto in periodi di volatilità dei mercati. Misurare l’impatto del valore emotivo, rispetto alla percezione complessiva di valore, è un’impresa consegnata all’ingegno di abili econometristi che, in uno studio molto interessante realizzato da Vanguard nel 2020, hanno svelato uno spaccato di sicuro interesse per gli addetti ai lavori.
Il peso del valore emotivo
Nell’indagine appena menzionata emergono alcuni aspetti che meritano di essere citati. Premesso che la ricerca è stata effettuata negli Stati Uniti, dove abbondano studi di questo genere, i risultati sono comunque indicativi e permettono con buona approssimazione di ipotizzare che gli esiti non sarebbero dissimili anche in Italia. In particolare, è utile sottolineare come “gli attributi di valore” legati alla consulenza possano essere distinti in funzionali o emotivi.

Come si evince, i risultati mostrano che l’impatto emotivo sul valore percepito della consulenza finanziaria è pari al 41% e al 38%, rispettivamente, per gli investitori che ai affidano alla consulenza tradizionale e per quelli con robo-advisor. È un dato assai significativo che dovrebbe spingere i professionisti della finanza a parlare meno di equazioni e più di emozioni, dal momento che le prime senza le seconde sono vacue e prive di utilità agli occhi e alle orecchie del cliente. Le modalità attraverso le quali farlo rappresentano, a dispetto di chi pensa di aver già capito tutto in materia, una frontiera ancora tutta da scoprire da cui però non si può prescindere, se si aspira a migliorare le conoscenze del cliente e a renderlo alleato di sé stesso nella gestione del proprio stato emotivo.
Il passato non ritorna, anche quando sembra il contrario
Vorrei invitare i professionisti della finanza alla cautela circa l’utilizzo eccessivamente disinvolto dei ‘dati del passato’, posti spesso all’attenzione del cliente come fossero un’attendibile profezia per il futuro più probabile che ci attende. Autori come Nassim Taleb, frequentemente citati, ma non sempre ben compresi, mettono in guardia dal ricorso a queste narrazioni finalizzate a invitare gli investitori a fare scelte attuali in base a concetti probabilistici che scaturiscono da un tempo passato, il quale non è scritto da nessuna parte che si ripeterà allo stesso modo. Un conto è mostrare ciò che è stato, un altro è lasciare intendere che ciò che è stato si riproporrà anche in futuro. Molti consulenti (e io stesso in passato) non resistono a questa tentazione, ignorando non solo la forza del caso, ma anche le aspettative che in tal modo vengono generate nei clienti emotivamente più vulnerabili.
Ci sono scelte che molti investitori, pur consapevoli di essere di fronte all’ennesimo cigno nero, non sono psicologicamente in grado di compiere; e questo è un dato di fatto! Gli esseri umani sono programmati prioritariamente per la sopravvivenza non per la prosperità. Perseveranza, imperturbabilità e resilienza non sono comuni compagni di viaggio delle persone che maneggiano i propri risparmi: se lo scopo per cui si investe non è tanto forte da essere assordante, non servono proclami o inviti alla clama. Lo sforzo richiesto ai consulenti è quello di impegnarsi seriamente nella sfida di fare cultura in tal senso, non di elargire ex post sofisticate spiegazioni sul perché è successo quel “qualcosa”, e ancor meno di spacciare un avvenire come probabile sulla base di ciò che il passato ci ha consegnato in dote.


