


Gli italiani continuano a navigare a vista
Il 2020 sarà ricordato come un anno tra i più complicati del dopoguerra, durante il quale i nervi delle persone (e non solo quelli) sono stati messi a durissima prova. La pandemia generata dal Covid-19 ha messo in moto una serie di azioni e relative conseguenze, la cui portata sarà compresa solo tra qualche tempo.
Gli italiani si sono ritrovati catapultati in un incubo inimmaginabile e, ad un tratto, in confronto al quale la crisi strisciante che aleggia sulla penisola da diversi anni a questa parte sembra una ‘cosetta’ da niente. Tra imposizioni forzose e sopravvenuta prudenza, hanno cominciato a spendere meno e ad accumulare di più. Sempre di più.
E come lo hanno fatto? Nel modo che conoscono meglio, cioè sui conti correnti e sui depositi bancari e postali. Questi strumenti sono quelli più noti, apparentemente quelli più sicuri e più vicini alla comprensione, quindi, più familiari. Tutto il resto è come se non esistesse e a poco servono gli inviti ad investire in modo pianificato e diversificato.
Nuovi record per le giacenze sui conti correnti
Molteplici fonti forniscono impietosi ritratti del sapere finanziario dell’italiano medio, che – a qualsiasi età – sembra essere lontano dalla conoscenza di base riscontrata in quest’ambito nel resto d’Europa.
L’enorme liquidità presente sui conti correnti degli italiani ha rinfocolato il refrain sulla loro (scarsa) cultura finanziaria e, come di consueto, si snocciolano report e indagini da cui emerge e si enfatizza tale evidenza.
Alla fine di giugno 2020, Banca d’Italia segnalava giacenze per oltre 1.900 miliardi sui depositi bancari e postali, di cui oltre 1.150 riconducibili alle famiglie.

È presumibile che questa tendenza continuerà a perpetuarsi anche nel prossimo futuro, in ragione – fra le altre cose – della percezione di un diffuso disorientamento da parte dei risparmiatori. L’alone di incertezza alimentato anche da una politica miope e autoreferenziale non farà che peggiorare la situazione.
Etichettare la liquidità
Gli esperti cercano etichette per definire la liquidità sui conti, nel tentativo di fornire un’identificazione precisa ad un asset che spesso sfugge a qualsiasi tipo di marchiatura più puntuale. Più che di risparmio in senso stretto, sarebbe più opportuno parlare di accantonamento; diversi dati (non ancora ufficiali) evidenziano un flusso di Titoli di Stato e di obbligazioni bancarie in scadenza verso i conti correnti.
In tempi di pandemia e di crisi sanitaria, come emerge nell’ultima Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani a cura del Centro Einaudi e ISP, si parla di risparmio precauzionale come valore che sembra aver dimensionalmente superato quello di risparmio intenzionale.
Se nel 2021 – si afferma nell’indagine – i due terzi di questa riserva supplementare fossero messi in campo, potrebbero triplicare la capacità di attivazione della ripresa innescata dal primo anno del Recovery Fund e potrebbero rendere realistica la prospettiva di una ripresa «a V» della produzione, dei redditi e dell’occupazione.
Nutro un forte scetticismo sul fatto che questa eventualità possa concretizzarsi. In uno slancio di ulteriore ottimismo, la stessa ricerca sostiene che un nuovo risparmio si genererebbe dal funzionamento dell’economia e sarebbe sia sufficiente, sia più virtuoso del risparmio che si genera, a causa della paura, quando l’economia frena.
Peccato che questi aspetti non interessino affatto al risparmiatore medio, e non solo perché vengono scarsamente compresi, ma perché in questi frangenti a dominare è soprattutto la paura dell’incertezza sugli eventi futuri. Ne deriva un comportamento estremamente conservativo, che alle persone appare sensato e che allo stesso tempo spinge ad accumulare il più possibile. Quasi certamente, qualsiasi soggetto interrogato sul perché sia propenso a lasciare così tanti soldi sul conto corrente risponderà: “Perché non si sa mai!”
L’avversione al rischio si trasforma in propensione al risparmio
Quest’espressione linguistica (“perché non si sa mai”) si presta a molteplici declinazioni, poiché ognuno la riempie mentalmente di un proprio contenuto. Di fatto si concretizza in un’avversione al rischio che produce un incremento significativo della propensione al risparmio; quest’anno, la percentuale di accantonamento sul reddito disponibile dovrebbe attestarsi oltre il 16%.

Già in situazioni normali la tendenza degli italiani è piuttosto chiara. Nell’ultima edizione dell’Indagine sul Risparmio del Centro Einaudi-ISP, fra gli altri, emerge il dato attinente a cosa si deve soprattutto prestare attenzione quando si investono dei risparmi; le voci più gettonate risultano quelle relative a:
▶ la sicurezza di non perdere una parte rilevante del capitale;
▶ la liquidità (possibilità di disinvestire in poco tempo, a costi ridotti e senza perdite del capitale;
▶ il rendimento che si ottiene nel breve periodo (meno di 1 anno).
Scelte che non hanno bisogno di commenti e frustrano qualsiasi tentativo di pianificazione prospettica e lungimirante.
Un’altra fotografia impietosa emerge dalla tabella seguente, che fotografa le risposte alla domanda: “Su una scala da 1 a 5, in che misura Lei si definisce una persona favorevole a correre dei rischi nel campo degli investimenti finanziari pur di aumentare il rendimento atteso degli stessi?”.

Anche in questo caso le percentuali non lasciano spazio a interpretazioni, tantomeno a facili entusiasmi.
Aumentano i risparmi, ma non l’interesse per l’educazione finanziaria
Risulta chiaro che la pandemia del 2020 ha accentuato un atteggiamento già consolidato, che delinea i connotati di risparmiatori apparentemente privi di visione di lungo termine. Il loro disinteresse per l’educazione finanziaria è evidente: un terzo non si informa minimamente e più della metà dedica alla materia non più di un’ora a settimana.
Tempo dedicato, in una settimana, per avere informazioni utili per decidere come investire i risparmi

Sono certamente da sottolineare le iniziative e i progetti dedicati all’alfabetizzazione finanziaria, che cercano di smuovere l’interesse su questo fronte a cominciare da scolari della scuola primaria. Tuttavia, c’è qualcosa che ancora sfugge e che, in parte, spiega l’insufficiente propensione degli individui verso questi temi pure così importanti.
Sempre più incerti e sempre più liquidi
Negli ultimi 18 mesi si sono susseguiti centinaia di articoli e post che hanno trattato il tema dell’eccessiva liquidità sui conti correnti e di come tale orientamento rappresenti una condotta sbagliata da parte dei risparmiatori. Risultato? La liquidità continua ad aumentare senza freni e quello che sembra un comportamento molto discutibile si intensifica ancora di più.

Circa il 40% dei risparmiatori detiene tutto il patrimonio finanziario in liquidità. Le persone si comportano secondo quel che sanno e, se sanno poco, i loro comportamenti saranno privi di reale efficacia. Accantonare per gli imprevisti è una delle cose che gli italiani sanno fare meglio e la montagna di liquidità sui conti lo dimostra abbondantemente. Ma oltre a questo, tutto diventa più arduo e forse più difficile da comprendere, quindi da mettere in pratica. La strategia del fai da te è quella che va per la maggiore e rappresenta una sorta di reminiscenza cellulare che si perpetua in modo preoccupante anche nei più giovani, sebbene negli ultimi 30 anni il mondo sia cambiato in modo radicale.
La questione è strutturale, dal momento che con questo approccio tanti risparmiatori cercano anche di giustificare sia il mancato ricorso ad una adeguata copertura assicurativa, che l’attivazione per tempo di un progetto di previdenza complementare.
Tante ricette razionali, ma a decidere è l’inconscio
Premesso che il cash la fa da padrone anche nel resto dell’Europa continentale, si è soliti elencare i pericoli di lasciare somme ingenti di risparmi infruttiferi (inflazione, mancata redditività, ecc…) e si studiano algoritmi per spingere le persone ad investire i soldi fermi sui conti. Tuttavia, è ormai acclarato che – al risparmiatore medio – tutto ciò che non è liquido appare semplicemente troppo rischioso.
Investire sulla qualità della propria vita attuale, a discapito di quella futura, torna ad essere una propensione evidente che dovrebbe far riflettere.
Lei ritiene sia meglio investire pensando al futuro oppure ritiene sia meglio investire sulla qualità della propria vita attuale?

Gli italiani percepiscono una crisi infinita e la politica non fa nulla per mitigare quest’aspetto; anzi, pare addirittura cavalcarlo in modo colpevole e apparentemente incomprensibile, sventolando ipotesi di una patrimoniale che alimenta disagi profondi e malcontenti diffusi.
In uno scenario simile, appare piuttosto scontato, quindi, che chi non ha competenze finanziarie si lasci trasportare dall’onda emotiva e ricorra a scelte infruttuose. I comportamenti di questo tipo, corroborati dai timori per gli imprevisti, sono dettati dall’inconscio cognitivo che si basa su processi euristici, utili in tante situazioni, ma vistosamente non ottimali in situazioni come quella oggetto di questa disquisizione.
Ancora una volta tocca ai consulenti sforzarsi di aiutare i propri assistiti su questo fronte, perché non sarà certo sufficiente appellarsi alla razionalità dei clienti per superare questo difficile guado.


