


Gli italiani hanno scarsa cultura finanziaria
Va bene, ormai lo sanno anche i muri: in materia finanziaria i clienti italiani sono tra i più ignoranti del globo terracqueo. Quindi? Limitarsi a ribadirlo insistentemente in articoli (e commenti) letti quasi solo dagli addetti ai lavori è un esercizio di stile improduttivo.
Bisogna parlare meno della malattia e occuparsi con più dedizione del malato.
Personalmente, negli anni passati, mi sono spesso fossilizzato in affermazioni tipo:
“I clienti italiani non hanno cultura assicurativo-finanziaria e la loro alfabetizzazione è notoriamente da terzo mondo”; all’occorrenza, non ho lesinato una facile ironia sulle assurde richieste dei clienti di oggi, per nulla diverse da quelle degli anni ’70-’80: sicurezza, rendimento e liquidabilità. E, possibilmente, tutte e tre assieme!
La realtà è una questione di prospettiva
Da un po’ di tempo guardo la cosa da un altro punto di vista, da un’altra prospettiva. Non migliore, semplicemente “altra”.

Non capisco granché di ingegneria meccanica, ma guido un’automobile le cui diavolerie motoristiche ed elettroniche sono al di fuori della mia comprensione profonda. E già, sono un vero ignorante in materia!
La mia auto inizia ad avere una certa età, ma in questi anni ho avuto mille motivi per apprezzarla, non ultimo quello che, in una circostanza, la sua importante ‘struttura’ ha salvato la vita a me e alla mia famiglia! Tuttavia, nel tempo ho imparato che la mia auto consuma tanto (oh mio Dio se consuma), soprattutto in città.
Lo ignoravo quando l’ho comprata? Più o meno, comunque in quel periodo non ho dato peso alla cosa, poiché era una variabile che ritenevo di poter gestire (illusione di controllo?).
Perché non l’ho ancora cambiata? Perché nella mia testa (come in quella di tutti gli esseri umani) c’è un meccanismo che è in grado di aggiornarmi sul posizionamento benefici-sacrifici relativo alla gestione dell’auto.
L’equazione del valore
La differenza tra questi due elementi, se è positiva a favore del primo (i benefici), mi suggerirà che c’è ancora “valore” in quella mia scelta e che rimanere nell’attuale status quo non è ancora un’opzione sub-ottimale.
Attenzione, non ho detto che è la scelta migliore, ho solo detto che per me rappresenta ancora un’opzione che fa pendere l’ago della bilancia a favore dei benefici. Quando parlo di benefici e sacrifici non mi riferisco solo ad aspetti di natura economico-monetaria, ma attribuisco a quei termini significati più ampi e personali.
Questo è quello che fa ogni cliente per determinare (il più delle volte a livello inconscio) se qualcosa o qualcuno (un esperto, un professionista, ecc…) gli sta dando valore, oppure no.
Al contrario, se e quando i sacrifici superano i benefici, il cliente percepisce disvalore.
Ritengo che questa sia una delle formule più esaustive per comprendere l’equazione del valore (e del disvalore).

Ben inteso, l’esempio dell’automobile può essere traslato su tanti altri ambiti. Quasi tutti possiedono un’auto e degli elettrodomestici; ne comprendono l’utilizzabilità, ma quasi sempre ne ignorano l’ingegneria sottostante. Quasi tutti, cioè, sono ignoranti in questa materia. Me per primo! Ma non per questo ingegneri, meccanici ed elettrauti mi definiscono un “inguaribile ignorante”.
La scelta di stare liquidi
Con i dovuti distinguo, non vedo molta differenza con quanto accade oggi coi risparmiatori/investitori. Ci si continua a lagnare della loro penosa vocazione agli investimenti di lungo termine, della loro scarsa (pressoché nulla) propensione al rischio, della loro testardaggine e mancanza di prospettiva che li induce a detenere cifre astronomiche sui conti corrente; per la cronaca, e solo per quella, i tedeschi fanno anche di peggio su questo punto. In Germania, però, sempre più banche scaricano il fardello del parcheggio della liquidità direttamente sulle tasche del cliente.
Come ho già detto in altre circostanze, forse è ora di cambiare approccio e smetterla di accusare di ignoranza chi non ha avuto finora la possibilità di imparare ciò che gli sarebbe servito per non essere ignorante!
L’erudizione assicurativo-finanziaria non è diversa dalle altre forme di apprendimento; se qualcuno o qualcosa (ad esempio uno Stato) non crea le condizioni adeguate per far apprendere (come impone per altre materie nella scuola pubblica), è difficile – se non impossibile – che il cittadino maturi la sensibilità per farlo da solo. Soprattutto da adulto. E soprattutto se la realtà percepita (Titoli di Stato e simili con rendimenti certi e senza rischio) è stata (e, per molti versi, è ancora) fatta da pseudo-certezze capaci di alimentare l’umano desiderio di godere congiuntamente del trinomio citato poc’anzi (sicurezza-rendimento-liquidabilità).

Continuare a pensare che un individuo, ignaro dell’abc in tema di protezione e finanza, debba “illuminarsi” autonomamente nel bel mezzo del cammin della sua vita, è piuttosto illusorio o, per meglio dire, utopistico. Né si può demandare integralmente ai professionisti del settore di incarnare contemporaneamente il ruolo di insegnante e di consulente.
Sovente, per esempio, si cerca di spiegare ai clienti il pericolo dell’inflazione, ma questo esercizio si rivela per lo più vano. Di tale rischio, non ne avevano la percezione quando l’inflazione era in doppia cifra, figuriamoci adesso. Comprendere realmente la differenza tra valore reale e valore nominale richiede uno sforzo non banale, che la maggior parte dei clienti (per fortuna non tutti) non è ancora in grado di fare.
Inflazione storica CPI Italia (base annua)

Fino a che le cose staranno così, mettiamoci l’anima in pace, non ci saranno cambiamenti strutturali nei comportamenti degli investitori. O si ha la fortuna di avere un consulente preparato, capace di condividere le nozioni fondamentali che gli investimenti richiedono, oppure i clienti possono solo sperare nella buona sorte, continuando a coltivare la falsa credenza che i Titoli di Stato (italiani, ovviamente) sono la panacea. Nulla in contrario finché in un portafoglio sono parte del tutto, ma non il tutto.
Diversificazione incompresa
Alcuni mesi fa ho incontrato per la seconda volta un cliente con esigenze di passaggio generazionale, al quale avevo fatto l’invito di seguire il consiglio della sua banca e diversificare l’unico BTP Tf 2,50% Nov25, su cui aveva investito il 90% del suo patrimonio mobiliare. Quando l’ho rivisto, ha fatto di tutto per tornare sull’argomento e, con la fierezza di un leone in mezzo a un branco di pecore, mi ha detto: “Ebbene sì, ho diversificato; ho disinvestito una parte di quella somma e l’ho reinvestita nel BTP Tf 2,80% Mz67.” Amen.
Le iniziative e gli sforzi fatti per cercare di alimentare l’educazione finanziaria (siti governativi, eventi ad hoc, lezioni estemporanee presso le scuole) sono encomiabili, ma ancora poco significativi in un’ottica di lungo termine.
È sperabile che i distratti gestori della cosa pubblica si pongano seriamente l’obiettivo per i cittadini di:
- farli diventare finanziariamente più acculturati (così la diversificazione diverrà finalmente un’abitudine);
- non permettere che i loro risparmi siano inopinatamente erosi dall’inflazione (così la quota di liquidità sui conti correnti sarà limitata allo stretto necessario);
- facilitare la comprensione della correlazione esistente tra rischio e rendimento (così sarà chiaro che negli investimenti, così come nella vita, ‘chi non risica non rosica’);
- far comprendere le magie del rendimento composto (così ci si focalizzerà un po’ di più sui progetti e meno sui prodotti).
Se si pongono le basi per rendere l’educazione finanziaria un must per i bambini di oggi, facendola diventare una materia scolastica a pieno regime, c’è la possibilità di avere un domani, clienti più edotti. Altrimenti, si raccoglierà ciò che si sarà seminato: nulla! A meno che, quel nulla non sia il vero, benché non dichiarabile, obiettivo recondito di qualcuno.
I consulenti e l’economia cognitiva
Nel frattempo, è consigliabile che i consulenti facciano propria la convinzione che le conoscenze relative all’economia cognitiva non sono più una variabile opzionale; se io capisco come funziona la testa del cliente (e ancor prima la mia), se capisco che la volatilità emotiva del cliente (e ancor prima la mia) ha un impatto maggiore della volatilità dei mercati sulle scelte, se inizio a comprendere tutto questo, posso forse pormi l’obiettivo di dirigere al meglio le scelte del cliente. In tal caso, creerò i presupposti perché il cliente percepisca il trade-off benefici / sacrifici a favore dei primi e creerò davvero valore.
È una sfida ambiziosa ma intrigante. I più bravi consulenti l’hanno già capito e si stanno attrezzando. Dopotutto c’è ancora speranza!


