


“Del doman non v’è certezza”!
I consulenti conoscono il problema del futuro della previdenza italiana e, quando possibile, lo affrontano con le competenze in loro possesso: la pensione pubblica è una certezza piuttosto consolidata per i pensionati di oggi, è una speranza sostenuta per chi è vicino (o vicinissimo) alla mèta ed è un’ipotesi traballante per chi ha ancora più di 20 anni di lavoro davanti a sé.
Per chi opera sul campo, è nota la difficoltà di affrontare il discorso con i clienti, che replicano con reazioni multiformi: underconfidence del problema, scarsa disponibilità per l’accantonamento, esistenza di logiche ‘semiprevidenziali’ ritenute più elastiche (es.: il Tfr), ecc…
Non è mia intenzione disquisire sulla plausibilità o meno delle varie voci, ma mi preme evidenziare come ‘tutte’ abbiano un minimo comune denominatore: l’inveterata mancanza di una cultura previdenziale che caratterizza giovani e meno giovani e che, come conseguenza, determina la scarsa adesione alle forme pensionistiche integrative o la scarsa propensione ad individuare scelte alternative a carattere più spiccatamente finanziario.
Certo, tale lacuna è l’estensione di un’educazione finanziaria pressoché nulla, che – in una classifica piuttosto nota – colloca impietosamente l’Italia nelle retrovie europee (e non solo), generando – peraltro – altre problematiche difficili da affrontare anche per il consulente più preparato e paziente.
Cosa non sta funzionando
Da una parte gli steps legislativi atti a migliorare la convenienza fiscale degli strumenti in essere non hanno permesso l’auspicato sviluppo della previdenza integrativa, dall’altra i consulenti non sempre trovano adeguati stimoli a trattare coi clienti la materia con dovizia di dettagli.
I motivi, anche in questo caso, sono molteplici e l’esigua remunerazione garantita al consulente da tali strumenti non è da annoverare tra le ragioni più marginali. Sarebbe facile stigmatizzare questo aspetto, ma è un esercizio di stile che lascio a chi blandisce teorie e non si è mai dovuto confrontare davvero con la consulenza sul campo.

Che si tratti dell’ambito finanziario o di quello assicurativo-previdenziale, è sempre più evidente che i clienti vadano alfabetizzati, prima ancora che educati. Il concetto di financial literacy (alfabetizzazione finanziaria) e financial education (educazione finanziaria) sono correlati tra di loro, ma non sono sinonimi.
L’alfabetizzazione fa riferimento alle conoscenze e ai comportamenti che si attivano nel fare scelte in campo finanziario; l’educazione finanziaria ha invece a che fare con la disponibilità di strumenti di informazione e di formazione finalizzati a quelle scelte.

Di certo sono apprezzabili le varie iniziative concertate da vari attori pubblici (Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero dell’Economia, Inps) a condizione che oltre ai portali web e alle pubblicazioni (spesso lette solo dagli addetti ai lavori), si trovi modo e maniera di tradurre in pratica quanto scritto, e magari di ‘portare’ in mezzo alla gente comune queste nozioni e questi consigli, onde evitare una volta di più che il tutto resti poco altro che un manifesto dalle pur nobili intenzioni.
La scarsa consapevolezza dei pericoli di una pensione pubblica da fame, unitamente ad una ricorrente forma distorta di ‘pensiero magico’ (“Tanto Dio vede e provvede” … “Ci penseremo quando ci arriveremo” … “Ma pensi davvero che possano lasciare tutti in mezzo a una strada!”, ecc…) aumentano in modo significativo il rischio di procrastinazione o, al peggio, il rifiuto di affrontare di petto la faccenda.
Dati e rendimenti
I dati statistici forniti dalla Covip possono indurre ad una serie di riflessioni.
Alla fine del 2018, il numero complessivo di posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari era di 8.747.000 unità, con un incremento del 5,4% rispetto al 2017. Ancora lontanissimi dall’utopistica ipotesi di 13 milioni di aderenti sbandierata all’alba del 2007, una volta sdoganata l’ultima riforma. Un chiaro esempio di overconfidence del regulator.
Nel periodo dal 2009-2018 (10 anni), i rendimenti medi annui sono stati:
- fondi negoziali: 3,7%
- fondi aperti: 4,1%
- PIP di ramo III: 4%
- gestioni separate: 2,7%
Nello stesso arco temporale, la rivalutazione media annua composta del TFR è stata pari al 2%.
L’educazione previdenziale è una mèta piuttosto difficile da perseguire, resa particolarmente complessa dalla distanza temporale che c’è tra momento in cui viene compiuta una scelta e il momento in cui la stessa scelta produce i suoi effetti: questa distanza è tipicamente molto estesa. Proprio a causa di questo ampio spazio temporale, è forte la tentazione di procrastinare, che di fatto significa scegliere di non scegliere.
Il cliente dovrebbe comprendere l’importanza di quest’educazione, per mitigare la tentazione a rimandare e per attenuare le forme di ‘autorassegnazione indotta’, cioè quell’atteggiamento che porta a non impegnarsi ad avviare in un piano di risparmio a scopo pensionistico per il semplice motivo che si ritiene esagerato o impossibile un accantonamento periodico necessario per colmare il gap pensionistico al 100%.
In altre parole: “Visto che è insostenibile risparmiare per x anni una somma che mi permetta di avere poi una pensione (pubblica+privata) in linea con quanto guadagno lavorando, allora meglio lasciar perdere del tutto; me la godo oggi, tanto qualsiasi cosa faccio, un domani possono cambiare le carte in tavola…” Questo atteggiamento sintetizza una forma di sconto iperbolico, giustificata dall’eventualità che ciò che è certo oggi (in tema di regole e norme), domani non lo sia o sarà modificato in peggio.
Attenzione al linguaggio
Ma come aiutare il cliente? Per esempio, come suggerisce Barbara Alemanni, con un uso adeguato del linguaggio, traducendo “termini tecnici in un linguaggio accessibile ad una comprensione basica. Piano previdenziale, ad esempio, diventa salvadanaio per la vecchiaia.”
Forse non basta, ma è pur sempre un inizio; magari nella speranza che, nel frattempo, chi ha potere di decidere apra le orecchie e la mente e capisca – come affermano da tempo (in un libro purtroppo non più acquistabile) Giovanni Palladino e Flavio Felice – “che c’è bisogno di una riforma vera, tanto coraggiosa da portare ad un’esenzione totale“.
Auspico che sia chiaro che queste righe non rappresentino un elogio sperticato agli strumenti solitamente collegati alla previdenza complementare (fondi pensione, pip, fip, ecc…). Vogliono, invece, essere l’ennesimo tentativo di sensibilizzare gli addetti ai lavori (e indirettamente i loro clienti) ad affrontare con determinazione il tema dell’integrazione pensionistica.
Infatti, solo attraverso di essa si può guardare con fiducia al proprio futuro, costruendo pezzo dopo pezzo quel benessere prospettico, necessario in seconda e terza età, che non sarà semplicemente un supporto di carattere finanziario ma anche, e soprattutto, una solida certezza di natura psicologica.


