


Private Equity e capitale di rischio
Il private equity è una forma di investimento dalla crescente notorietà che, tuttavia, dà adito a giudizi spesso contrastanti, alimentando nel contempo la schiera dei sostenitori e quella dei detrattori.
Con questo termine si intende un apporto di capitale di rischio da parte di operatori specializzati in aziende prevalentemente medio piccole, al fine di realizzare guadagni in conto capitale nel medio lungo termine, attraverso la creazione di valore nelle medesime aziende.
Si definisce capitale di rischio, poiché il denaro è investito con lo scopo di sviluppare l’idea imprenditoriale, ma la liquidità proposta non sempre da sola può fare la differenza. Ed è per questo che il private equity moderno offre l’aggiunta di risorse umane con capacità di sviluppo per realizzare il piano imprenditoriale.
Investire nelle imprese
Da sempre le imprese italiane presentano una forte dipendenza dal credito bancario. Questo tipo di finanziamento è fondamentale per molte imprese, ma risulta poco adatto in quei casi in cui le strategie aziendali, funzionali alla crescita o ad una ristrutturazione, richiedono più tempo per remunerare il capitale.
Nelle economie più evolute trovano largo impiego i fondi di private equity e venture capital, ossia forme di finanziamento che sanno aspettare e non richiedono remunerazioni continue. Tali forme di finanziamento hanno il vantaggio di saper aspettare che il rendimento venga generato e che possa supportare la remunerazione delle aspettative di chi ha conferito il capitale.
Investire nelle imprese ha sempre dato dei buoni ritorni sul lungo termine, perché si fa affidamento sul bisogno quasi ossessivo e avvincente degli imprenditori di prodigarsi e lottare con pervicacia per ottenere risultati, anche contro ogni eventuale previsione contraria.
La distintività del private equity
Il private equity può essere di vitale importanza per il benessere di una nazione, dal momento che può alimentare adeguatamente l’economia di un Paese, permettendo una costante crescita strutturale.
Gli elementi distintivi del private equity sono:
- apporto di capitale azionario (o sottoscrizione di titoli convertibili in azioni) da parte di investitori specializzati;
- presenza in imprese prevalentemente medio piccole a elevato potenziale di sviluppo;
- ottica temporale di medio e lungo termine, ma comunque temporanea;
- obiettivo di generare nel tempo un elevato rendimento;
- contributo congiunto di risorse finanziarie e know-how.
Questo ultimo punto è un passaggio davvero fondamentale.
La tradizionale visione del private equity come soluzione finanziaria utile per le imprese bisognose di capitalizzazione è ormai superata e non più in linea con i tempi. Il private equity contribuisce allo sviluppo delle imprese partecipate e al proprio rendimento sia attraverso la finanza che attraverso un adeguato management. In altri termini, conferire denaro è uno step, ma non basta.

È necessario, infatti, un contributo in termini di capacità e di conoscenze spesso rappresentative di una cultura manageriale più sviluppata, che tanto servirebbe alle piccole e medie imprese italiane.
Più in particolare, si intende una summa di competenze tra cui:
- vision strategica
- relazioni internazionali
- orientamento alla pianificazione
- conoscenza del business e capacità negoziali
- business fortemente complementari capaci di generare sinergie
- valutazioni tecniche e tecnologiche.
Potenzialità di crescita
Per lo sviluppo economico di un Paese è tanto importante comprendere l’importanza di investire nel capitale privato, quanto è necessario conoscere la differenza esistente tra questo e il capitale pubblico rappresentato dai mercati borsistici.
Il private equity è un mezzo consolidato per fornire capitale alle imprese che cercano di espandere produzioni e servizi nuovi o già esistenti. Se le società quotate ottengono finanziamenti sui mercati pubblici attraverso l’emissione di azioni o obbligazioni, le società private possono utilizzare il private equity per ottenere finanziamenti attraverso l’apporto di capitale di rischio o capitale di debito da parte di terzi.
I capitali privati hanno ancora ampio margine di incremento, sebbene dagli anni ‘90 ad oggi siano cresciuti considerevolmente. Questa crescita è stata accompagnata da un calo del numero di società quotate sui mercati pubblici. Solo negli Stati Uniti, tra il 1996 e il 2012, il numero di società quotate è diminuito di circa il 50%.
Tuttavia, nonostante una crescita media del 10% annuo, le strategie di private equity rappresentano ancora solo un decimo delle transazioni globali di fusioni e acquisizioni in un determinato anno. Questo aspetto indica che c’è ancora uno spazio considerevole per la crescita dei mercati privati.
Quotazione sì, quotazione no
Negli anni ’80, la quotazione in borsa rappresentava per una società un modo per misurare il successo aziendale. Oggi, al contrario, molte imprese evitano di diventare pubbliche per motivi strategici e finanziari, almeno fino a che quotarsi non diventi assolutamente essenziale.
Un esempio di questo genere è Uber, brand assai familiare e app di successo, che ha raggiunto una potenziale valutazione di IPO di 120 miliardi di $, reperendo capitali dai mercati privati, finché non si è quotata.

Spinti da un decennio di bassi tassi di interesse, gli investitori più patrimonializzati sembrano attratti dai più elevati rendimenti medi disponibili nel mercato del private equity. Questa tendenza, a sua volta, ha attratto un numero crescente di aziende ad utilizzare i capitali privati per il finanziamento della propria crescita e dello sviluppo.
Altri investitori e consulenti, al contrario, non gradiscono il private equity perché lo ritengono un mercato illiquido, sebbene nell’ultimo decennio l’introduzione di nuovi strumenti finanziari collegati a quel segmento abbia dato la possibilità di investire in veicoli più liquidi, grazie a strategie sul mercato secondario e multi-manager.
Opportunità da cogliere
Le strategie multi-manager ampliano ulteriormente la possibilità di diversificazione, selezionando una combinazione di opportunità primarie, secondarie e di coinvestimento. La chiave di tali strategie sta nel selezionare i gestori di fondi con una solida esperienza e un comprovato modello di business.
Se ben informati, i clienti saranno sempre più attratti dal profilo liquido delle strategie sul mercato secondario e multi-manager, capaci di offrire un’elevata diversificazione e, quindi, un livello di rischio più contenuto. Nel contempo, queste strategie tendono a fornire agli investitori distribuzioni di rendimenti in un arco temporale più breve rispetto al mercato primario.
Ancora una volta, nel rispetto del profilo di rischio del cliente, sarà una consulenza adeguata e altamente competente a poter fare la differenza!


