Il frutto amaro della previdenza complementare

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I consulenti devono aiutare i clienti a vincere l’immobilismo

Di questo passo, la pensione pubblica sarà poco più di un’elemosina sociale e quella di scorta, cioè la previdenza complementare, potrebbe amaramente rivelarsi un’occasione mancata. I consulenti devono dotarsi di pazienza e di metodo per aiutare i clienti a vincere una sfida molto ardua: abbandonare l’immobilismo.

In realtà, i consulenti – in un frangente più unico che raro – sono impegnati con la propria clientela, e con i prospects, su vari fronti:

  • gestire la volatilità emotiva;
  • ritrovare la lucidità;
  • difendersi dall’infodemia cognitiva;
  • mitigare gli effetti del tam tam mediatico;
  • distinguere i buoni consigli dagli slogan di propaganda;
  • fare chiarezza su logiche e aspettative negli investimenti.

Confusione mediatica

cliente dubbioso

Nei panni del cliente, capirci qualcosa attraverso i media è un’impresa, considerando che su uno stesso tema, i giornali riescono ad assumere posizioni letteralmente contrapposte.
Ad esempio, parlando di risparmi e liquidità, due pagine “specializzate” titolano in questo modo:
“I depositi continuano a crescere” (30 maggio 2020),
“Stiamo mangiando i risparmi accumulati” (19 maggio 2020).

In entrambi gli articoli si snocciolano numeri, si fanno previsioni, si elargiscono inviti e si fanno paragoni con gli altri “europei”: cose che messe assieme sono totalmente inutili e sembrano assemblate con l’unico scopo di sostenere le ragioni di un punto di vista o di un assunto di base, che poi è quello di chi ha scritto l’articolo o di chi lo ha commissionato.

Il lettore medio, che spesso è anche il cliente medio, da questo ginepraio di parole, ne esce certamente confuso e probabilmente incapace di capire se reagire e come reagire. Forse, scambiando la banca per la farmacia, correrà a comprare il BTP Italia anti-Covid, certo di mettersi in portafoglio un prodotto utile (“lo comprano tutti!”) o – male che vada – taumaturgico (“è utile per risollevare le sorti del Paese”). 22 miliardi e spiccioli per una resa a breve termine, che pare alleviare quei palati bruciacchiati dai tassi a rendimento negativo degli ultimi quattro anni.

Chi di speranza vive…

clessidra tempo

Intanto il tempo passa e chi dovrebbe, invece, usare i propri risparmi e una parte delle proprie entrate, per disegnare per sé un futuro meno fosco, inciampa nei soliti errori di comportamento: immobilismo e procrastinazione.

Nella maggior parte dei casi, quando va bene, il cliente non ha una strategia davvero adeguata all’obiettivo di integrazione pensionistica complementare; quando va male, semplicemente, non ha una strategia!

Ovviamente, ci sono poi i portatori sani di pensiero magico, quelli che confidano nel fatto che comunque una soluzione alla penuria pensionistica del sistema pubblico, al momento opportuno, si troverà. A questi inconsapevoli illusi andrebbe spiegato che la perdurante congiuntura di produttività del Paese, rinvigorita dalla terribile crisi che è in atto, sortirà effetti deleteri anche sul tasso di capitalizzazione. Si tratta di un fattore che, al pari della carriera lavorativa e dell’età di pensionamento, incide e inciderà sull’entità dell’assegno, che verrà riconosciuto al futuro pensionato e che sarà rigorosamente calcolato attraverso il metodo contributivo. Quindi, aiutati che Dio ti aiuta!

Cambiare il trend di una crescita asfittica

I numeri della previdenza complementare non invitano all’ottimismo. Le ultime vicissitudini hanno, purtroppo, rafforzato in molti clienti l’ottica miope del breve termine e consolidato la sensazione che la scelta di stare liquidissimi sia quella più indicata. Intendiamoci, qualcosa si muove, e – sebbene si tratti di una crescita marginale – va comunque segnalata.
Nello specifico, in relazione al primo trimestre 2020, i dati Covip parlano di un incremento dello 0,67% (68 mila unità) delle posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari; ad oggi, il totale degli iscritti può essere stimato attorno agli 8,325 milioni.
Cifre ancora insufficienti, considerando lo scenario prospettato dal 1° pilastro previdenziale.

I meccanismi di incentivazione, sia di tipo normativo che contrattuale, fin qui utilizzati hanno sortito effetti di molto inferiori alle attese. Sindacati, associazioni ed esperti vari, sono in tanti a dilettarsi su ulteriori e – sulla carta – più efficaci modalità di incentivazione.
Personalmente, ritengo che bisognerebbe prendere il buono che c’è in ogni suggerimento.

Non trascurerei, inoltre, di mettere il naso fuori dai confini italici e analizzare l’applicabilità, anche parziale, di soluzioni che hanno dato esiti molto confortanti: il programma SMarT (Save More Tomorrow), messo a punto da Richard Thaler e Shlomo Benartzi, e il progetto NEST (National Employment Savings Trust), entrato in vigore nel Regno Unito nel 2012, meriterebbero un approfondimento concreto.

Lo Stato da che parte sta?

Tuttavia, se in Italia lo Stato vorrà lucrare (anche) sugli strumenti della previdenza complementare, allora è inutile persino giocare la partita. Finora, dopo la riforma del 2007, quando la politica ci ha messo il becco, ha fatto solo dei danni. Non va dimenticato che l’incremento dell’imposta annua sul capital gain delle forme di previdenza complementari, passato in due step dall’originale 11% all’attuale 20%, rappresenta una delle scelte più stupide e scellerate compiute in questo ambito.

È cosa nota che gli Italiani, legittimamente, siano sensibili e attenti ai benefici fiscali. Se davvero ci fosse una piena volontà politica di riportare nei propri radar la previdenza complementare e favorirne lo sviluppo, soprattutto a beneficio delle nuove generazioni, il primo passo dovrebbe essere la rimodulazione dell’imposta sul capital gain e, a seguire, il completo azzeramento.

bandiere italia danimarca svezia

Nell’ambito dell’Unione Europea, lo schema di tassazione più utilizzato è quello EET, vale a dire Esenzione sui contributi, Esenzione sui rendimenti annui e Tassazione della prestazione finale. Ci sono solo altri due Paesi che, come l’Italia, applicano invece il sistema ETT. Si tratta di Danimarca e Svezia: non proprio due realtà con cui sia possibile sostenere paragoni.

È evidente che ad oggi, clienti e consulenti devono darsi da fare con quello che c’è e, soprattutto, evitare il gioco del rimando. In ambito di pianificazione e di assistenza, al cliente va spiegato e rispiegato che tra i vari rischi a cui è esposto ci sono anche quelli di natura previdenziale. E come ogni altro rischio, se non può essere trasferito, va gestito con un sano approccio di diversificazione.
Questo è quello che accade nei Paesi che “funzionano”: sensibilizzazione e informazione. Di per sé non è garanzia di un cambiamento immediato, ma è un modo per spingere gentilmente i clienti che ne hanno necessità verso strategie ausiliarie.

Parlo di strategie, poiché gli strumenti di previdenza complementare sono, appunto, strumenti e non panacea. Una strategia è tale se permetterà al cliente di costruire qualcosa che faciliti l’ottenimento dell’obiettivo di integrazione pensionistica, utilizzando un approccio integrato.

Scelte lungimiranti

All’atto pratico, è consigliabile sfruttare i vantaggi fiscali dei fondi pensione o dei PIP, facendo attenzione ai costi per non annacquarne i benefici. Ma non basta! Il risparmio fiscale periodico dovrebbe essere reinvestito su uno strumento finanziario, sfruttando la metodologia del piano di accumulo e scegliendo un livello di rischio consono al tempo che manca al pensionamento.

Come fare per individuare il corretto livello di rischio? Affrontando consapevolmente la seguente domanda: “Qual è il principale obiettivo che mi prefiggo con questa strategia?”
E rispondendo al meglio, scegliendo tra opzioni possibili come queste:
“Quando arriverò all’età pensionabile, mi interessa aver accumulato una somma che sia la più alta possibile”, oppure
“Voglio dormire sonni tranquilli, giorno per giorno da qui all’età pensionabile, e non accetto che quello che accantono perda anche se temporaneamente di valore”.

bias

Sconto iperbolico, status quo bias, avversione miope alle perdite e tanto altro: per il cliente le insidie cognitive sono molteplici.

Il consulente deve avere ben presente che alcune di queste risulteranno particolarmente ostiche da affrontare. Egli, però, può essere di grande aiuto in questa dinamica, a condizione di non sovrapporre le proprie griglie valoriali a quelle del cliente.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo … il fare

Il percorso logico può essere sintetizzato in questo modo: il cliente ha, come tutti gli esseri umani, dei limiti cognitivi che determinano errori di pensiero. Il consulente è consapevole di questo e cerca di far ‘riconoscere’ al cliente tali pregiudizi, con l’obiettivo di far emergere un’esigenza di consulenza su un tema così delicato. Lo scopo è accompagnare il cliente verso soluzioni condivise, stimolando i suoi anticorpi e consentendogli di difendersi adeguatamente dalle implicazioni dei fattori emotivi.

All’occorrenza, sarà essenziale guidarlo verso una razionalizzazione del quadro futuro e spingerlo a fare quel passo necessario per vincere l’inerzia a scapito dell’immobilismo.
È necessario non tergiversare oltre e cominciare a rendersi protagonisti della sceneggiatura desiderata per la propria Terza Età, in cui sarà legittimo il desiderio di vivere in serenità e senza patemi.
Per quanto possibile, bisogna iniziare a redigere quella sceneggiatura immediatamente.

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