


Gli esseri umani sono guidati più dalle emozioni che dalla logica
Non solo i grandi esperti delle scienze comportamentali, ma anche la maggior parte dei consulenti che si occupano di finanza e di patrimoni hanno compreso questa innegabile verità. Di consueto, i clienti – anche quelli considerati più evoluti e consapevoli – assumono comportamenti dettati più dalle loro spinte emotive, che non da processi logici.
Ricorrendo ad una semplificazione forzata, questo significa che, anche nelle decisioni economico-finanziarie, l’impatto della regione cerebrale primitiva è ben più rilevante di quanto non lo sia quello della neo-corteccia, la parte più giovane del cervello umano, nonché quella deputata alla razionalità e, appunto, alla logica. A questa vengono idealmente, quanto erroneamente, associate capacità di predominanza non riscontrabili nella realtà.
Sapere cos’è un bias, o essere capaci di individuare una o più euristiche, non è purtroppo sufficiente per capire come queste nozioni debbano, e possano, essere integrate in un efficace processo di consulenza.
In realtà, non è raro che proprio i consulenti stessi corrano il rischio di sovrastimare le proprie capacità, incappando in distorsioni ricorrenti, tra cui l’overconfidence, che è una delle più note e studiate dai comportamentisti.
Emozioni ed economia
Nella vita ognuno ha degli obiettivi, più o meno consapevoli, che cerca di perseguire attraverso i propri valori e i propri principi. Anche le scelte e le decisioni che guidano il processo finanziario sono mosse da questi valori, oltre che dalla conoscenza che ogni soggetto possiede in quest’ambito.
“Personal finance is more personal than it is finance.”
Tim Maurer
Questa frase può risuonare come accattivante e originale, ma il suo significato è realmente profondo, poiché evidenzia un aspetto, sottolineato dallo stesso Maurer, su cui sarebbe opportuno soffermarsi con maggior frequenza: “Gli aspetti più impegnativi e importanti della finanza personale non sono gli aspetti finanziari, ma quelli personali”.
In effetti, il concetto di pianificazione finanziaria rischia di diventare fuorviante, se non si tiene opportunamente conto di due fattori:
1) in tale processo, emozioni ed economia si incontrano;
2) le prime hanno una valenza superiore a qualsiasi stima si tenti di farne ex-ante.
In altre parole, la portata delle emozioni non è identificabile a priori, se non in maniera assolutamente approssimativa.
Da ciò ne deriva che, a fare la differenza nelle scelte di pianificazione di investimento, non è tanto ciò che sappiamo o che non sappiamo, quanto come quello che sappiamo o non sappiamo ci faccia sentire. Le emozioni nascono da percezioni personali e, in quanto tali, sono diverse da soggetto a soggetto e, nel tempo, sono diverse nello stesso soggetto anche davanti a situazioni (apparentemente) “simili”.
L’uso del denaro rispecchia chi siamo e come pensiamo
“Chi ha una sana visione del denaro è destinato a prosperare, poiché capirà l’importanza di far lavorare quel denaro per sé e per la sua famiglia, invece che lasciarlo poltrire senza che produca frutti”.
Un mio vecchio mentore era solito ripetere questa frase e ribadire, nel contempo, che se non facciamo lavorare il denaro per noi, noi saremo costretti a lavorare per il denaro.

Generalizzando, le persone solo solite concepire il denaro o come un fine (accumulatori), oppure come un mezzo (finalizzatori).

C’è, infatti, chi tende a operare per un accumulo fine a sé stesso (con l’incertezza che possa mai realmente possedere riserve a sufficienza) e c’è chi, dopo averne risparmiato, usa il proprio denaro per ‘produrne’ dell’altro e/o per realizzare concreti progetti di vita.
Riportando questo alla più stretta attualità, gli accumulatori ritengono che l’obiettivo primario sia quello di salvaguardare tale denaro in termini quantitativi, ignorando bellamente la sua intrinseca perdita di valore nel tempo, se abbandonato su strumenti infruttiferi.
I finalizzatori operano con l’idea che il denaro serva a conseguire nel tempo obiettivi tangibili e, tal proposito, sono più propensi a orientare le loro scelte di gestione e di investimento in modo prospettico.
Tutto ciò fa emergere due modalità di comportamento e determina due tipologie di clienti, tutt’altro che statiche, con cui è consigliabile (o, forse, necessario) avere un approccio consulenziale differente. Ben inteso che non si tratta semplicemente di una forma di contabilità mentale, ma di un’interpretazione da parte dei soggetti realmente differente dell’oggetto “denaro”.
Soprassedendo sulle logiche personali che generano queste differenze, e che sono quasi sempre determinate dal proprio vissuto, risulta chiaro che alla base di tutto ci siano emozioni che definiscono il modo di percepire e di vivere il denaro, come parte necessaria della società in cui viviamo.
Le emozioni dei clienti si comprendono, non si gestiscono
Si tende spesso ad affermare che uno dei compiti di un consulente finanziario debba essere quello di “gestire emotivamente” il cliente. Non altrettanto spesso, tuttavia, vengono fornite delucidazioni su come questo compito dovrebbe concretizzarsi.
Molti consulenti, quindi, si illudono di poter guidare le emozioni del cliente, posto che siano ancor prima in grado di riconoscere e guidare le proprie. Ritengo che il proposito di essere, o diventare, professionisti capaci di tenere in primissimo conto le emozioni dei clienti sia conveniente ed estremamente utile, ma l’espressione “gestire emotivamente il cliente” può diventare fuorviante.
Soprattutto i consulenti con scarsa consapevolezza emotiva, come anche quelli più propensi all’illusione di controllo, potrebbero ipotizzare la possibilità di dover imparare ad incanalare le emozioni dei clienti secondo precisi schemi, che spingano questi ultimi ad assumere un comportamento finanziariamente razionale ed efficiente. Chi vive la consulenza finanziaria sul campo, senza limitarsi a teorizzarla, sa che si tratta di un’impresa solitamente impossibile.
Le emozioni devono essere ascoltate e comprese, così come la loro soggettiva rilevanza per il cliente, affinché costui si senta a proprio agio e in una situazione psicologicamente confortevole, anche e soprattutto, quando avverte il bisogno di manifestarle in presenza del suo consulente.
Se il cliente riscuote in cambio dal professionista un’esternazione di malcelato giudizio, o un feedback pregno solo di cruda razionalità, sarà portato ad avvertire un senso di inadeguatezza che lo spingerà ad evitare in futuro simili manifestazioni emotive. E nel tempo questo incrinerà anche il rapporto fiduciario.
Predicare e razzolare
Quante volte ti è capitato di vedere un medico fumare? Pensi che tutti i nutrizionisti siano sempre nel loro peso forma? O che tutti i notai e avvocati abbiano fatto testamento, oppure abbiano adottato le migliori strategie di pianificazione successoria?
Queste “scelte” rendono, forse, tali professionisti peggiori o meno autorevoli agli occhi degli altri? Non necessariamente. I pazienti, così come i clienti, cercano competenza, capacità empatiche e risposte che possano risolvere i loro problemi.
I clienti non chiedono ai propri consulenti: “Fammi vedere il tuo portafoglio e dammi la dimostrazione che quello che mi consigli è esattamente in linea con ciò che fai coi tuoi investimenti”. Qualora così fosse, molto consulenti si ritroverebbero senza clienti. Semplicemente, il punto non è essere un esempio da imitare, ma saper essere un professionista, un controllore, uno specialista e un efficace comunicatore capace di aiutare i propri assistiti a fare scelte finanziarie intelligenti.
I consulenti finanziari non devono (necessariamente) essere un esempio per i clienti
Anche i consulenti finanziari hanno le proprie emozioni e sanno che la consapevolezza di queste poco ha a che fare con la capacità di saperle controllarle. Alcuni di loro gestiscono il proprio denaro in un modo molto simile a quanto fanno molti clienti: orientamento al breve termine e scelte condizionate dall’emotività. Conosco molti consulenti, modesti gestori dei propri soldi, che sono assai competenti ed estremamente efficaci nella gestione dei patrimoni dei propri clienti; ne conosco tanti con caratteristiche diametralmente opposte.
Sia gli uni che gli altri sono intimamente consapevoli che ciò che professano non sia necessariamente ciò che riescono o che vogliono mettere in pratica per sé stessi. E in questo, a mio avviso, non c’è nulla di sconcertante. Già! Può suonare controverso alle orecchie di qualcuno, ma la bravura di un consulente finanziario non può certo misurarsi dall’aderenza di quanto sia capace di razzolare col proprio denaro, rispetto a quanto sappia predicare in merito a quello dei suoi clienti.
Ai più perplessi ricordo che pur il celebratissimo Markowitz ha confessato in diverse interviste che il suo conto previdenziale, più che essere rigidamente aderente alle logiche di portafoglio da lui concettualizzate, era stato basato su aspetti di carattere emotivo, mirati a limitare un’eventuale futura avversione al rammarico. Ovviamente, questo non gli ha impedito (e non gli impedisce) di essere considerato una delle menti più brillanti e paradigmatiche della finanza classica.
Emozioni e comprensione
Una delle imprese più improbe che clienti e consulenti hanno dovuto affrontare riguarda il crollo dei mercati consumatosi col divampare implacabile della crisi pandemica. Rimanere investiti nel turbinio incontrollato di uno dei momenti più complicati del dopoguerra è stata una sfida che per fortuna molti clienti hanno vinto, soprattutto grazie alla vicinanza e al sostegno dei propri consulenti di fiducia.
Il dialogo e la disponibilità, la fiducia e la capacità di rassicurare sono stati fattori determinanti perché i clienti accettassero l’indicazione di non compiere scelte improvvide dettate dal panico incalzante. I consulenti più esemplari sono stati coloro che hanno saputo coniugare questi aspetti con la giusta attenzione alle emozioni dei clienti, inevitabilmente agitati per quanto stava avvenendo.
È passato poco meno di un anno e, nonostante i mercati abbiano toccato nuovi massimi, la maggior parte dei clienti è lontana da un senso di serenità e di benessere, principalmente per motivi che poco hanno a che fare coi mercati stessi. A maggior ragione, è quantomai opportuno che i consulenti sappiano (o continuino a) dimostrarsi capaci di fare la differenza, grazie soprattutto a una mente lucida e a un cuore aperto.


