Debito pubblico italiano: i conti che nessuno vuol fare

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Il debito pubblico: problema o dramma?

Che quello del debito pubblico italiano sia un problema di lunga data è cosa nota, ma come la sua progressione stia per generare un potenziale terremoto è cosa di cui pochi parlano. Per scaramanzia o per non spaventare le masse?
Noto da alcuni mesi a questa parte che, sebbene alcuni dati siano pressoché ufficiali, non ci si prende la briga di fare alcuni calcoli e, soprattutto, di tirare le relative somme. Allora diamo un’occhiata ai numeri che scottano.

Al 31 dicembre del 2020 il debito pubblico italiano ha toccato la cifra record di 2.569,3 miliardi di euro, secondo le stime comunicate dalla Banca d’Italia. Secondo le ultime stime dell’ISTAT, il PIL per contro è calato dell’8,9% (dato destagionalizzato), e visto che nel 2019 era pari a 2.087 miliardi di dollari, nel 2020 sarà pari a circa a 1.901 miliardi di dollari, equivalenti (cambio attuale eur/usd a 1,19) a circa 1.597 miliardi di euro.

Questo significa che al 31 dicembre 2020 il rapporto debito/PIL ha raggiunto la raggelante soglia del 160,88%. In considerazione del fatto che il primo trimestre del 2021 procede in un modo più che preoccupante, è ipotizzabile che il livello attuale, come rapporto, stia proseguendo la sua drammatica ascesa verso il 170%.

Pandemia, corruzione e altre ‘spine

Alla luce degli ultimi sforamenti di bilancio (per 15 miliardi di euro, corrispondenti a quasi 1 punto percentuale di PIL) intrapresi dal Governo Draghi per i ristori, si aggiungono nuovi e più pesanti provvedimenti di chiusura che comprendono anche il periodo di festività pasquale. Tutto ciò fa presuppore una tendenza non dissimile da quella del 2020, sebbene con la visione di una luce in fondo al tunnel.

Anche qualora il PIL 2021 dovesse restare invariato, senza perdere ulteriore terreno, il rapporto debito/PIL potrebbe schizzare entro la fine dell’anno a livelli ulteriori da record.

In un confronto con le principali economie, ci sono aspetti della situazione italiana che saltano agli occhi più di altri. 60 miliardi di euro sui circa 120 complessivi di danni stimati dalla presenza della corruzione a livello europeo, sono da attribuire alla sola Italia.
Per non parlare poi dell’inefficienza strutturale della Pubblica Amministrazione Italiana, tra le peggiori in assoluto nel confronto con tutti i Paesi avanzati, vero tallone di Achille per una ripresa sostenibile e un’economia competitiva.

Sebbene ci siano stati miglioramenti negli ultimi anni sul fronte del funzionamento della giustizia civile (la durata media di un procedimento civile fino al terzo grado di giudizio, è sceso da 8 anni a 7 anni e 4 mesi), resta ancora, inaccettabilmente, il più lungo in assoluto in tutta l’UE e nell’OCSE, dove la media si attesta ad appena un biennio.

Domande preoccupanti e riflessioni scomode

La situazione descritta impatta sul mercato del credito e sulla competitività del sistema Italia. Questi aspetti, assieme ai fattori citati (e a molti altri che approfondiremo in futuro), hanno generato una palese situazione di bassa crescita, così lampante da far risultare la crescita del PIL italiano la più bassa dal 1999 ad oggi nel confronto con 180 Paesi del Mondo su 181 analizzati.

Davanti a dati tanto crudi quanto allarmanti, sorge una domanda scomoda e piuttosto sconcertante:
Quale probabilità va data ad una possibile ristrutturazione del debito pubblico italiano entro il prossimo quinquennio?

Per capire se la risposta potrebbe essere più dolorosa del quesito, ritengo opportuno fare alcune considerazioni supplementari.
▶ Se alla bassa crescita si dovesse accompagnare un’inflazione nulla, o persino negativa, il problema in questione diverrebbe ancora più grave, poiché le entrate dello Stato non crescerebbero nemmeno nominalmente, mentre il peso del debito in rapporto al PIL tenderebbe a rafforzarsi.
▶ Per contro, non si può neanche confidare in una veloce reflazione, che deprimerebbe i redditi reali in una fase ancora di debolezza e finirebbe per tagliare i consumi delle famiglie, indebolendo anche le prospettive di crescita.
▶ Un’inflazione in rapida risalita in tutta l’Eurozona costringerebbe, inoltre, la BCE a ritirare le misure di accomodamento monetario finora adottate, tagliando gli acquisti di bond e alzando gradualmente i tassi; in tal modo, aumenterebbe il costo di rifinanziamento dei debiti sovrani, specie di quelli percepiti più a rischio come il debito pubblico italiano.

E se il peggio dovesse ancora arrivare?

Questo è lo scenario che Prometeia sottintendeva già a marzo del 2020 in questo studio, quando ancora lo scenario non era così drammatico come quello che si è andato a delineare nell’ultimo anno.

Emergeva già la fotografia di un Paese che non sarebbe riuscito ad uscire né facilmente, né in fretta dalla crisi e che sarebbe tornato ai livelli di PIL pre-Covid solo dopo gli altri Paesi dell’Eurozona, subendo peraltro possibili conseguenze sul piano di una politica monetaria più restrittiva e, quindi, di minore supporto ai BTP.

Gli avanzi primari (al netto della spesa per interessi) resterebbero ridotti e insufficienti a garantire la stabilità del rapporto debito/PIL, rendendo lo stock sempre meno sostenibile. E tutto questo, senza tenere in considerazione che – per ragioni di mantenimento della pace sociale – i governi nei prossimi anni (a Roma e, forse, anche altrove) non potranno concentrarsi sul risanamento dei conti pubblici, dovendo rispondere alle crescenti insofferenze sociali.

Chi pensa che la BCE possa fungere da salvatrice in eterno, deve rivedere la sua posizione, perché la realtà che si sta delineando, oltre che spaventosamente seria, diventa progressivamente più drammatica.

Il ruolo dei consulenti

Il ruolo dei consulenti (finanziari, patrimoniali, ecc…) è cruciale anche in questo frangente, dato che sono a conoscenza del patrimonio complessivo dei propri clienti, spesso costituito per circa il 60% da attività immobiliari.

La svalutazione che, con crescente probabilità, toccherà gran parte del patrimonio immobiliare italiano sarà dovuta, oltre che al deterioramento delle condizioni economiche di una fetta non trascurabile di famiglie italiane, anche ad altri due aspetti, che potrebbero produrre un conseguente calo della domanda e un contestuale aumento dell’offerta:

  1. l’accelerazione della riforma del Catasto, mirata a raddoppiare il valore imponibile IMU e TASI degli immobili, oltre che il valore catastale al fine della determinazione delle imposte legate ai trasferimenti inter vivos e mortis causa);
  2. il sempre più probabile aumento delle imposte di donazione e successione (come da Disegno di Legge del gennaio 2015) per allinearle, almeno parzialmente, al contesto europeo.

Aumenta, quindi, la necessità di ottimizzare l’impiego delle risorse finanziarie, cercando di diversificarne l’allocazione al di fuori dei confini nazionali, onde diluire l’eccessiva concentrazione del rischio Paese, che già interessa gran parte degli attivi immobilizzati degli Italiani residenti, compreso l’eventuale patrimonio aziendale e altre partecipazioni societarie.


 

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