Customer Experience e Intermediari: l’obiettivo è migliorare la relazione con i clienti

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Cosa significa essere orientati al cliente?

Le imprese investono fior di quattrini e affidano ai propri esperti di marketing il compito di progettare una comunicazione aziendale che faccia emergere il proprio orientamento al cliente. Elaborano strategie per migliorare la customer experience, intesa come la reazione interiore e soggettiva dei clienti di fronte a qualsiasi contatto diretto o indiretto con un’azienda”.

Questa definizione fu data nel 2007 da Andre Schwager e Chris Meyer in un articolo pubblicato sull’Harvard Business Review, in cui viene evidenziato come tale ‘esperienza’ si formi gradualmente attraverso i cosiddetti punti di contatto o punti distinti (momenti di contatto diretto tra cliente e impresa), i quali – sostengono i due autori – “cambiano nel corso della vita di un cliente.Per una giovane famiglia con tempo e risorse limitati, un breve incontro con un broker assicurativo o un pianificatore finanziario può essere adeguato.Lo stesso tipo di esperienza non soddisferà un anziano con molto tempo e una base di risorse sostanziale”.

Nel 2012 Harley Manning e Kerry Bodine pubblicano il bestseller Outside In: The Power Of Putting Customers At The Center Of Your Business, (Clienti al centro, Hoepli, 2012). Nel saggio gli autori teorizzano il ‘modello della piramide’ e individuano i requisiti che garantiscono una customer experience di qualità. Fra le altre cose, lanciano un monito esplicito che dovrebbe mettere in guardia ogni impresa, a prescindere dal proprio contesto di business: “… ciò che pensate di sapere sul cliente è probabilmente sbagliato. Pensare di sapere cosa vogliono i clienti è rischioso. Sapere cosa vogliono permette di cambiare in meglio la customer experience.”

Jon Picoult (Watermark Consulting) ha analizzato i punteggi CXi (indice di customer experience) per un periodo di cinque anni a partire dal 2007. Ha creato un finto portafoglio di leader nella customer experience investendo equamente nelle prime dieci società quotate in borsa nella CXi ogni anno. Ha anche creato un portafoglio ritardatario con gli ultimi dieci in classifica e ha aggiornato questo portafoglio una volta all’anno sulla base dei punteggi annuali di CXi.
Le performance non lasciano spazio a dubbi:
▶ Portafoglio leader CXi: +22,5%
▶ Indice S&P500: -1,3%
▶ Portafoglio ultimi 10 per CXi: -46,3%

Brand e clienti

Anche gli intermediari finanziari e assicurativi (banche, assicurazioni, poste), ormai da parecchi anni, si prodigano perché un elevato livello di customer experience affiori come elemento distintivo e cercano di capire come ‘far innamorare i clienti del proprio brand’. Il compito, per una serie di motivi, è tutt’altro che agevole e il fatto di proporre servizi percepiti come intangibili, la cui utilità purtroppo non è sempre compresa dai clienti, non è certamente secondario quando si analizza la difficoltà della riuscita. Multicanalità e tecnologia sono (e saranno) utili, ma ancora insufficienti per i servizi a valore aggiunto, come tutti quelli che richiedono un approccio consulenziale vis-a-vis.

Le normative più rilevanti in ambito finanziario e assicurativo, MiFID II e IDD vorrebbero il cliente e i suoi interessi al centro delle attenzioni degli intermediari. Per raggiungere questo scopo le indicazioni sono soprattutto quelle di proporre ai clienti prodotti e servizi in linea con le loro esigenze e i loro obiettivi. Insomma, prima il cliente e poi il prodotto.
Come se il contrario avesse mai avuto il benché minimo senso da un punto di vista consulenziale.

Il principale consiglio che gli esperti danno alle imprese su cosa significhi orientamento al cliente è piuttosto semplice e inequivocabile: “Smettete di parlare di voi e iniziate a parlare di lui”.
Molti addetti ai lavori potrebbero storcere il naso davanti a questa apparente semplificazione, ma il proposito di questo articolo non è quello di fare un trattato compiuto di marketing, bensì di far emergere quanto, in ambito di consulenza, l’esperienza diretta e indiretta consiglia quando si parla di questo aspetto.

I clienti non sono tutti uguali

È quanto di più scontato si possa dire, ma è una verità che a volte si tende a dimenticare.
Ci sono realtà (filiali, agenzie, ecc…) in cui, la quantità e la varietà dei compiti quotidiani rendono il tempo più tiranno che mai. Non è inusuale che gli addetti alla clientela tendano a replicare una sorta di copione, con l’obiettivo di arrivare rapidamente ad una chiusura, il che significa far firmare al cliente ciò che gli viene proposto. Molto spesso a scapito di qualsiasi forma di personalizzazione della proposta.

Al netto delle fisiologiche eccezioni, non si tratta di imperizia dei referenti/gestori (definiti in modo diverso a seconda delle realtà e dei modelli di servizio adottati), che si prodigano al meglio delle loro capacità e delle loro competenze. Essi sono alle prese con la necessità di contemperare gli input quantitativi forniti dalle direzioni commerciali e le numerose altre incombenze quotidiane di vario tipo (amministrativo, normativo, reportistico, ecc…) da espletare in filiale o in agenzia. Compito arduo per chiunque.

Da parte loro, le banche e le compagnie – seppur in modo strutturalmente diverso – devono fare il possibile per perseguire i propri obiettivi di budget e per dare le risposte che il mercato richiede. A questo fine investono ingenti risorse per realizzare CRM funzionali allo scopo, che hanno (o avrebbero) anche l’obiettivo di supportare i propri consulenti di filiale (o di agenzia) attraverso “campagne personalizzate”. Non è raro, tuttavia, che questi strumenti siano spesso denigrati proprio dagli stessi utilizzatori che dovrebbero trarne beneficio.

È il solito cane che si morde la solita coda. Buoni propositi che non garantiscono i risultati sperati, il tutto condito talvolta da un disagio e una frustrazione latenti da parte degli addetti alla clientela, che ritengono di non essere messi nella migliore condizione per proporre una vera consulenza e per portare a casa i risultati richiesti. Per tutti gli attori coinvolti appare una missione problematica quella di coniugare obiettivi quantitativi e qualitativi, tanto più se quello che si propone al cliente non si vede, non si tocca, non si indossa.

Il parere degli altri conta

Nell’attuale contesto sociale, i clienti hanno continue possibilità di esprimere giudizi e riscontri in merito ai servizi e ai prodotti che comprano e usano. Ristoranti, hotel, negozi (online e non): ci sono feedback e un certo numero di stelline per tutti. E non è raro che tali giudizi condizionino le nostre preferenze quando ci accingiamo a valutare un certo prodotto o servizio.

In sintesi, diamo credito alle esperienze e al parere degli altri, anche se si tratta di emeriti sconosciuti. Si tratta di una semplificazione cognitiva, reputata utile di fronte alla necessità o alla volontà di fare una scelta di acquisto, che desideriamo si riveli corretta o soddisfacente. È un comportamento umano piuttosto usuale, che oggi è chiaramente amplificato dal fatto di poter condividere in tempo reale le proprie esperienze per mezzo dei social e delle app dedicate allo scopo.

È mia opinione che, attualmente, gli intermediari finanziari e assicurativi dovrebbero occuparsi meno di queste attitudini tecnologiche e preoccuparsi di più del passaparola locale dei clienti, vera cassa di risonanza sociale. Bisogna, cioè, impegnarsi a garantire una buona customer experience territoriale, perché è in loco che si espleta il proprio servizio ed è in loco che è importante essere graditi dai clienti.

Ristoranti e filiali non sono la stessa cosa

Un esempio può essere esplicativo del concetto di customer experience territoriale: se un ristorante di Rimini consegue feedback pessimi sui siti consultati dai clienti, per verificare le stelle assegnate da chi vi ha già mangiato, dovrebbe preoccuparsi di come quei giudizi negativi possano condizionare tutti coloro che – da ogni parte d’Italia e del mondo – si trovassero a passare o a fare una vacanza da quelle parti, perché difficilmente quel locale sarebbe scelto in prima battuta come luogo per un buon pasto.

In ambito finanziario, invece, un cliente che vive ad Aosta, e ha un conto presso una filiale della Banca X del posto, non è interessato più di tanto se un’altra filiale della Banca X di Siracusa garantisce ai propri clienti una customer experience migliore o peggiore di quanto accada presso l’agenzia dove detiene i rapporti.
Dopotutto, ciò a cui quel cliente aspira è vivere costantemente una gradevole esperienza presso la propria filiale di riferimento.

In entrambi i casi a fare la differenza è ciò che avviene all’interno del luogo in questione, ma la rilevanza cambia perché è potenzialmente diverso l’afflusso dei clienti e dei prospect. Il ristorante di Rimini, pur avendo giudizi sfavorevoli potrebbe comunque ritrovarsi pieno nel bel mezzo della stagione estiva, quando la domanda di mercato è particolarmente alta. Per la filiale di Aosta o di Siracusa la faccenda è diversa, poiché la domanda è molto più stabile; se i clienti non sono soddisfatti, semplicemente (potendo) cercheranno un’alternativa.

I fattori determinanti per i professionisti

Ci sono almeno due aspetti che vanno tenuti in considerazione per evitare di buttare via risorse che potrebbero essere veicolate più efficacemente per perseguire la soddisfazione delle parti in gioco: motivazione e formazione del personale. Un referente della clientela scarsamente motivato può fare danni simili (o anche maggiori) rispetto a quelli di uno non adeguatamente formato sulle abilità necessarie a garantire una relazione di qualità. In entrambi i casi a pagarne le conseguenze, oltre che i clienti stessi, è anche il brand.

Va detto che questi due elementi vanno spesso a braccetto, sebbene il livello di motivazione di un collaboratore dipenda da una pluralità di variabili.
Di frequente, tuttavia, una scarsa motivazione emerge quando l’addetto alla clientela si deve confrontare con obiettivi di budget che ritiene sproporzionati rispetto al:
tempo che ha disposizione;
▶ numero di clienti da gestire;
▶ mix di compiti giornalieri da svolgere;
▶ livello di preparazione di cui è in possesso.

La formazione che in molte realtà viene erogata al personale, soprattutto di front-office, è fortemente sbilanciata sul versante tecnico e di prodotto, e risulta piuttosto deficitaria sulla parte relazionale e comportamentale. Questa situazione si spiega, almeno in parte, con la necessità di ottemperare alle linee guida imposte dalla normativa che si traducono, sovente, in un numero di ore da fare obbligatoriamente.

Progettazione e cura del “viaggio del cliente”

Una buona customer experience è il frutto di una lucida progettazione del customer journey, cioè del viaggio ideale che il cliente compie nel rapporto con una determinata impresa. Gli intermediari finanziari e assicurativi che investono in pubblicità fanno ciò che ritengono necessario per incrementare la memorabilità del brand, ma non hanno alcuna garanzia che tale sforzo non venga poi mortificato dal comportamento inadeguato di uno o più dei propri dipendenti sparsi sul territorio.

Le neuroscienze applicate al marketing spiegano come avviene il processo di acquisto nella testa del cliente. Nell’ambito trattato da questo articolo, è nota, quindi, l’importanza di accompagnare i clienti senza forzare la mano, rispettando le loro inclinazioni e chiarendo – se necessario – le loro perplessità.

Il tempo, quindi, gioca un ruolo fondamentale in un incontro consulenziale e la qualità mal si concilia con la fretta, poiché impedisce sia di illustrare esaustivamente ciò che si deve, che di far percepire un adeguato livello di attenzione verso l’interlocutore. Non dimenticando, in tutto questo, che l’alfabetizzazione della clientela italiana è quasi tutta da costruire.

Ignorare questo aspetto è pericoloso e controproducente, poiché ai clienti interessano le proprie ragioni e non le logiche budgettarie degli intermediari. A questi ultimi il compito, certamente non agevole, di ridisegnare – se necessario – i modelli di servizio per un’organizzazione più efficiente e produttiva e di trovare la giusta sintesi tra la qualità dovuta ai clienti e la quantità necessaria per i propri conti.


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