La consulenza finanziaria e il gap di percezione dei clienti

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I clienti prendono decisioni autolesioniste?

Fare qualcosa che, invece di avvicinare, allontana dai propri obiettivi di vita pare un controsenso, eppure è proprio quello che tanti risparmiatori fanno in diverse circostanze, molto spesso senza neanche rendersene conto. Le loro scelte inadeguate possono essere la conseguenza di una scarsa (in)formazione o della sopravvalutazione delle proprie conoscenze (overconfidence).

Generalmente, i consulenti si adoperano per evitare che i clienti attivino questi meccanismi di autosabotaggio, sebbene questo compito si riveli assai complicato se non, in certi casi, persino vano, e cercano di fornire il proprio supporto in base alla percezione dei propri assistiti.

Risulta evidente, tuttavia, che questa forma di ausilio consulenziale possa dare i suoi frutti solo a condizione che i professionisti siano realmente in grado di comprendere il percepito dei propri interlocutori; in caso contrario, le loro indicazioni risulterebbero sconnesse da ciò che realmente serve ai clienti per perseguire i propri scopi e realizzare i propri desiderata

Non sappiamo come si comporteranno i mercati nel futuro e non sappiamo come reagiranno i clienti a questi andamenti in funzione della loro percezione, ma l’esperienza insegna che la loro memoria è piuttosto corta, come quella della maggior parte degli esseri umani in tali situazioni, e che i ricordi passati possono essere assai fallaci.

La realtà percepita è l’unica realtà che esiste

I consulenti devono assicurarsi di aver capito ciò che i clienti pensano realmente. Dico questo perché le ricerche hanno spesso evidenziato uno scollamento tra le percezioni dei consulenti e quelle dei clienti e, ovviamente, questo è un aspetto che richiede una certa attenzione e, all’occorrenza, un’azione correttiva adeguata.

In merito alla percezione dei risparmiatori, i consulenti devono accertarsi di capire come essi reagiranno di fronte a situazioni particolari, come per esempio un crollo dei mercati o gli effetti dell’inflazione, individuando per tempo possibili tranelli comportamentali in cui i primi potrebbero incappare, più o meno inconsapevolmente.

In genere, i clienti ritengono che saranno in grado di evitare comportamenti sbagliati in condizioni specifiche di mercato, sopravvalutando di frequente le proprie doti di disciplina e di autocontrollo. Al contempo, i consulenti tendono a fornire percentuali molto elevate quando devono stimare ex ante le reazioni scomposte dei clienti in presenza di crolli o di condizioni avverse dei mercati.

Secondo una recente indagine svolta negli USA, i divari più rilevanti tra il modo in cui gli investitori vedono il proprio comportamento e quello in cui i consulenti vedono il comportamento dei clienti riguardano in particolare tre situazioni:
▶ la tentazione di vendere quando i mercati sono al ribasso;
▶ l’impazienza verso strategie poco performanti e l’ambizione di cercarne altre per ottenere rendimenti più elevati;
▶ la smania di apportare cambiamenti nel portafoglio durante i periodi di crescita nulla o bassa.

La conoscenza determina le scelte

Quello che sappiamo, o crediamo di sapere, condiziona ciò che facciamo o che faremo. È una certezza acclarata e lo è anche quando i clienti decidono in merito ai propri risparmi e ai propri investimenti. La consapevolezza percepita presenta notevoli punti deboli di fronte a una verifica a posteriori.

Fonte: Investor Behavior in a Market Crisis (2021)

Da questa tabella emerge che la conoscenza degli investitori è insufficiente, quando si tratta di ricordare le perdite massime del mercato durante alcuni momenti specifici del passato più o meno remoto.

Quando i clienti devono prendono una decisione circa i propri investimenti, lo fanno non solo ricordando (più o meno correttamente) il passato, ma anche in funzione delle loro convinzioni e delle loro aspettative sul futuro. Le loro scelte, in sintesi, saranno la conseguenza di ricordi imperfetti e di proiezioni inevitabilmente condizionate da fattori emotivi legati al presente.

L’importanza di avere un piano

È buona abitudine di molti consulenti avveduti condividere coi propri clienti dei veri e propri piani di azione, stabilendo (o, almeno, ipotizzando) il da farsi in presenza di circostanze molto avverse di mercato; cioè, quelle in cui si dimentica dei buoni propositi e ci si lascia soverchiare da scossoni emotivi che sembrano infiniti e impossibili da gestire.

Anche in questo caso, è consigliabile accertarsi a più riprese che il cliente abbia compreso appieno quali siano i (suoi) comportamenti più idonei o proattivi in simili evenienze. Appurare la concreta disponibilità a stare fermi o – perchè no – a incrementare determinate posizioni di portafoglio, qualora se ne presentasse l’opportunità, è un’indagine ricorrente che merita di essere fatta nelle visite di assistenza.

I consulenti devono prevedere, quindi, più occasioni in cui verificare la collimazione tra le opinioni, i punti di vista e le certezze dei clienti, e il proprio percepito relativamente a quegli stessi fattori, per evitare – tra l’altro – proprio l’incompleta comprensione dei clienti stessi in merito al da farsi, nel caso in cui un evento negativo impattasse sui mercati.

Impegnarsi a colmare l’eventuale gap percettivo vuol dire anche questo.

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