Anno Nuovo, Mente Vecchia: quando a sbagliare è anche (e soprattutto) lo Stato

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Le paure congestionano la mente

La mente dei risparmiatori e degli investitori è un “palcoscenico” piuttosto articolato su cui si dimenano abitualmente ansie ricorrenti e timori incontrollati; in Italia, per molti, il futuro appare come un tempo nebuloso e preoccupante sul quale non riporre molte certezze.

Alcuni temi diventano indistinguibilmente oggetto di dibattiti politici o semplici chiacchiere da bar: c’è chi scommette sulla prossima ‘imposta patrimoniale’ o su una Italexit dall’Europa.

Ognuno cerca di comprendere a suo modo i potenziali danni che un evento di queste dimensioni (un cigno nero?) potrebbe avere sulla situazione personale e sul proprio patrimonio. E, solitamente, i danni immaginati dalla mente sono ben più ingenti di quanto potrebbe concretizzarsi nella realtà.

Un noto spot pubblicitario di qualche anno fa affermava che “l’attesa del piacere è essa stessa piacere”. Parafrasando ed enfatizzando (ma mica tanto) il concetto, potremmo dire che l’attesa di un evento spiacevole genera nella mente un’ansia e una paura più gravose rispetto alle realistiche conseguenze effettive dell’evento stesso. Razionalmente, non è difficile concordare con questa affermazione e molti ne sono consapevoli; tuttavia, sappiamo bene che tale razionalità resta relegata ai margini quando dovrebbe essere invocata per evitare pericolosi ruzzoloni della parte istintuale.

Scelte sbagliate

Le conseguenze più evidenti di questi atteggiamenti si traducono spesso in reazione scomposte (“vendere perché il prossimo crollo è dietro l’angolo”, “eludere perché tanto lo fanno tutti”, ecc…) o in una sorta di apatico disinteresse nei confronti di tutto quello (pac, fondi pensione, ecc…) che si trova oltre la soglia del temporalmente prossimale.

In questo tipo di situazione, ogni tentativo consulenziale di debiasing, basato solo su logiche razionali, risulterebbe inconsistente.

Ma il punto è anche un altro. In un Paese in cui è forte l’esigenza di contenere la spesa pubblica, dovrebbe manifestarsi un’azione legislativa più convinta, atta a favorire proprio gli strumenti e le soluzioni con un più elevato impatto sociale: i fondi pensione, le rendite, le polizze LTC, ecc… Tuttavia, sebbene sia stato avviato da tempo il tentativo di un processo di integrazione del contributo pubblico con quello privato, in particolare in ambito previdenziale, ad oggi non si può certo esultare per i risultati conseguiti.

Il nudging che non c’è

Si può sempre invocare la scarsa alfabetizzazione finanziario-previdenziale sul banco degli imputati, ma sarebbe un errore grossolano. Gli italiani spaventati avrebbero bisogno d’altro: ad esempio, di un approccio ‘politico’ che faccia sue appropriate logiche di nudging, individuando e promuovendo soluzioni di lungo termine nelle scelte che riguardano le problematiche croniche del Paese; di un linguaggio istruttivo, capace di alimentare nelle persone impulsi spontanei verso l’assunzione personale di responsabilità circa il proprio futuro integrativo pensionistico, idoneo a garantire libertà e dignità.

Al contrario, lo Stato sembra peccare nel suo ruolo principale di “guida” e ignora ogni forma di paternalismo libertario; continua a compiere gli stessi errori degli individui e inciampa in una visione miope con conseguenti soluzioni sub-ottimali di breve termine, utili (forse) a limitare gli effetti di una falla, ma inadatti a rassicurare dal pericolo di affondamento.

doppia scelta e conseguenze opposte

In uno scenario simile, la mente dei risparmiatori e degli investitori rischia di navigare senza bussola e di nutrirsi solo di ansiogene incertezze. Il consulente (ancora lui), come il più bravo dei medici o il più autorevole dei comandanti, risulterà credibile e indispensabile, allorché si prodigherà innanzitutto nel fare opera di rassicurazione coi propri clienti e poi procedere all’individuazione della migliore cura o rotta di navigazione.

Il ruolo “prezioso” del consulente

Nell’ottica del consulente, rassicurare non significa minimizzare aspetti che per il cliente sono importanti o fare promesse i cui esiti non dipendono dal consulente stesso, ma dare la certezza che “la strada” la si farà assieme e che ci sarà sempre il massimo impegno per individuare le soluzioni più adeguate per ogni obiettivo correttamente posto. Nell’ottica del cliente, la rassicurazione rappresenta una condizione indispensabile per attenuare eventuali timori o ansie che possano sfociare nell’immobilismo. Essa rappresenta lo step propedeutico per accettare di buon grado, come idonee, le indicazioni successive che il consulente delineerà.

La fiducia è una merce che lo Stato sembra fare di tutto per non meritare, ma è meno rara di quanto si pensi; le persone, semplicemente, la vogliono riporre in mani sicure ed affidabili. Le principali indagini che si prefiggono lo scopo di individuare cosa ricercano i clienti dal rapporto coi consulenti fanno emergere un esito chiaro che disegna un identikit assai preciso: quello di un consulente capace di agire nel miglior interesse del cliente, in possesso delle adeguate competenze e che sia in grado di esprimersi con un linguaggio semplice e comprensibile.

Tutto il resto rappresenta una conditio utile, ma secondaria.

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